Franz Di Cioccio: «Con Faber ci siamo trovati senza cercarci»
Intervista Il leader della Premiata Forneria Marconi racconta il nuovo progetto «PFM canta De André - Anniversary», stasera il debutto a Roma
Intervista Il leader della Premiata Forneria Marconi racconta il nuovo progetto «PFM canta De André - Anniversary», stasera il debutto a Roma
Quarantuno giorni. Tanto era durato, nei fatti, quel connubio destinato a produrre una discreta crepa nei muri che delimitano i territori della musica italiana. Lo stesso doppio album tratto dai concerti del gennaio 1979 portava in copertina l’estremo tentativo dei discografici di conservare quelle divisioni almeno nelle apparenze, relegando la musica allo sfondo: Fabrizio De André in concerto – Arrangiamenti PFM. Perché se la collaborazione tra cantautori e musicisti rock era già pratica comune in studio di registrazione, nessuno aveva mai esibito sul palco la realtà di un linguaggio comune, espresso peraltro in maniera paritaria.
In occasione del 45° anniversario la Premiata Forneria Marconi rimette in scena la scaletta del memorabile tour, i cui arrangiamenti sarebbero diventati canonici per lo stesso cantautore genovese. Ospite d’eccezione il chitarrista Michele Ascolese, che con De André ha condiviso i palchi fino all’ultimo concerto. In vista del debutto di stasera (Roma, Teatro Brancaccio), con i testi da ripassare davanti a sé, Franz Di Cioccio trova il tempo per parlarci di questo ritorno.
La redazione consiglia:
De Andrè e Pfm, magie in una nuvola rockBeh, tu hai incasellato tutto molto bene, ma in realtà non è che ci sia dietro una vera e propria programmazione. A un certo punto, semplicemente, senti la voglia di far riascoltare quei pezzi, anche perché è tanto che non lo facevamo. Ma ogni volta si ha l’impressione di portare in scena qualcosa di nuovo, anche perché cambia il modo di raccontare le cose, non lo facciamo mai in maniera pedissequa.
Cambia anche il pubblico: mi chiedo quale possa essere la reazione dei nuovi spettatori, ma anche di chi ha già ascoltato a lungo queste canzoni.
La forza dei quei brani, a mio avviso, sta nella diversa percezione che ne hai di volta in volta: dapprima ascolti la canzone in quanto tale, ma poi inizi a sentire la simbiosi tra il pezzo, chi l’ha scritto e chi lo interpreta. Il pubblico ha di fronte brani di enorme forza letteraria, e anche chi li ha già sentiti e risentiti prova sensazioni che non sono le stesse della prima volta, non so se anche a te fa questo effetto…
Assolutamente sì, e io sono tra quelli che hanno letteralmente consumato gli album originali!
È proprio questo tipo di passione l’elemento determinante! Io ho davanti la scaletta, e rileggendo i testi penso a come le canzoni possano vivere vite diverse ogni volta che le si mette in musica. Quando il pubblico riascolta Un giudice, ad esempio, avverte questa nuova luce sul verso «perché ha il cuore troppo vicino al buco del culo», quando parte questa fisarmonica che nella versione originale non c’era.
E nel tour in partenza, quella fisarmonica la riascolteremo per mano del suo esecutore originale.
Sì, ogni volta che gli impegni glielo concedono Flavio torna a suonare con noi. Lui poi è diventato un eccellente tastierista quando ha iniziato a fare rock, ma nasce proprio come fisarmonicista. Nel tour con Fabrizio ha riesumato lo strumento, facendolo suonare in modo molto moderno.
Qual era il principio di fondo che guidava i vostri arrangiamenti per De André?
Volevano essere la scenografia di ciò che accade nelle sue canzoni, e abbiamo sempre fatto molta attenzione per evitare che tra musica e testo una parte prevaricasse l’altra, abbiamo sempre perseguito un equilibrio poetico. Vale per Un giudice, ma anche per Rimini, con quel tipo di atmosfera molto sospesa, Maria nella bottega di un falegname, Amico fragile…
Il vostro lavoro ha contribuito a risolvere l’equivoco di fondo di chi considera De André soltanto dal punto di vista letterario. Sentiva anche lui il bisogno di demistificare questo cliché?
Il ricordo più bello di quando abbiamo iniziato a collaborare è stata la sua prima reazione all’ascolto di un brano riarrangiato: «Belìn, ma lo sentite così?». Quello che abbiamo fatto è stato scrivere musiche che potessero portare il testo fuori dal foglio e farlo arrivare al cuore delle persone. Ecco perché siamo legati a questo lavoro incredibile. L’incontro tra noi e Fabrizio è una delle cose più belle avvenute nella musica italiana, ci siamo trovati senza cercarci, mantenendo sempre un grande «respiro» per le cose che ognuno di noi faceva.
In realtà però vi eravate trovati già nel 1970 per registrare La buona novella, assieme ad altre figure di un certo peso come Roberto Dané e Gian Piero Reverberi. Fu molto diversa come esperienza?
In quel caso l’arrangiatore scriveva e noi davamo sfumature, lavoravamo da turnisti. Ma in seguito non abbiamo collaborato con tanti altri cantautori, specie dopo aver deciso di concentrarci su di noi come PFM.
E usciti dallo studio avete iniziato a girare il mondo e ad arricchirvi di esperienze, cosa che a mio avviso si riflette nella varietà degli arrangiamenti per Faber.
Sì, abbiamo preso ispirazione da tutto ciò che vivevamo, sempre in maniera coerente con lo stato d’animo del momento. Come quando abbiamo suonato Albinoni alla Royal Albert Hall… avevamo appena comprato il Moog e il pezzo ci sembrava adatto allo strumento, al luogo e al momento. Quel giorno c’era in visita la Regina Madre, e quando ha sentito questo suono è rimasta così colpita da venire da noi a chiedere cosa fosse!
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