La luna di miele è terminata, oggi comincia il vero pontificato di papa Francesco. Concluse le celebrazioni della Pasqua, esauriti i bagni di folla – l’ultimo ieri: in piazza San Pietro ad ascoltare il  Regina Coeli, che nel tempo pasquale sostituisce l’Angelus, c’erano 40 mila fedeli –, finita l’abbuffata mediatica, Bergoglio dovrà ora dare l’avvio all’azione di governo della Chiesa.
I punti all’ordine del giorno, alcuni dei quali particolarmente spinosi, sono numerosi: la sostituzione del cardinale Bertone alla guida della Segreteria di Stato, le nomine dei capi dei dicasteri curiali – ovvero i ministri del governo vaticano –, lo Ior e altre questioni finanziarie.

Da queste decisioni si capirà meglio se quello di Bergoglio sarà un pontificato realmente riformatore oppure se il papa venuto «dalla fine del mondo» si limiterà ad innovare le forme e le apparenze lasciando però immutata la sostanza e le strutture dell’istituzione ecclesiastica.

Molti dei gesti compiuti e delle parole fin qui pronunciate sono un evidente segno di discontinuità con il recente passato: la rinuncia ai paramenti distintivi del potere papale; la scelta di definirsi «vescovo di Roma» piuttosto che pontefice; la prima messa nella Cappella sistina celebrata dall’altare rivolto verso i fedeli (che nell’occasione erano i cardinali elettori) e non da quello preconciliare addossato alla parete, quindi dando le spalle ai fedeli, come invece fece Ratzinger; un seggio al posto del trono papale durante le udienze; la lavanda dei piedi ai detenuti del carcere minorile di Casal del Marmo, fra cui due ragazze, che tanto ha fatto infuriare i tradizionalisti; l’incontro con il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, prima sistematicamente ignorato e tenuto a debita distanza dai sacri palazzi; l’uso di espressioni come «popolo» e «Chiesa povera e per i poveri» (ma non «Chiesa dei poveri», come disse il Concilio).
Si tratterà ora di vedere se tale discontinuità riguarderà anche l’azione di governo, a cominciare dalla scelta della nuova Segreteria di Stato, finora guidata da Bertone, il quale, complice anche la fiducia assoluta in lui riposta da Ratzinger, ha concentrato nelle sue mani un potere enorme – non sempre ben digerito dagli altri cardinali di Curia: non a caso molti documenti del Vatileaks riguardavano proprio la gestione Bertone – e ha piazzato i suoi uomini nei gangli vitali del potere vaticano, dai dicasteri economici (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, la Prefettura degli affari economici, il Governatorato) allo Ior. Bertone ha superato l’età della pensione (ha 78 anni, si lascia a 75), è stato riconfermato «donec aliter provideatur» (fino a che non si provveda altrimenti) ma ha le settimane contate.

La scelta del suo successore sarà decisiva per capire la direzione del pontificato di Bergoglio, che da giorni ha avviato le consultazioni con diversi cardinali latinoamericani e alcuni capi dicastero.

Capitolo Ior

Bertone sembra averlo “blindato” per i prossimi 5 anni: è stato appena nominato il nuovo presidente (il tedesco Von Freyberg, che però non è un bertoniano), confermato il Consiglio di sovrintendenza (un Cda laico) e rinnovata la Commissione cardinalizia di vigilanza (dove uno dei cardinali “ostili” al segretario di Stato, Nicora, è stato sostituito con il fedelissimo Calcagno), di cui lo stesso Bertone è presidente. E circola la notizia secondo cui lo Ior potrebbe essere posto sotto il controllo della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano, il dicastero che insieme al Governatorato amministra lo Stato vaticano, guidata da un altro fedelissimo di Bertone, il cardinal Bertello. Sembrerebbe che non ci siano grandi possibilità di manovra.

Ma il nuovo papa, se vorrà, potrà rimescolare le carte, tenendo anche conto che entro l’estate Moneyval, l’organismo di controllo antiriciclaggio del Consiglio d’Europa, dovrà decidere se ammettere il Vaticano nella white list dei Paesi virtuosi.
Nel rinnovo potranno pesare anche due vicende giudiziarie che stanno coinvolgendo, come persone informate sui fatti, due pesi massimi della Curia: il presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, mons. Vincenzo Paglia (vicino alla Comunità di sant’Egidio) e lo stesso Bertone.

La diocesi di Terni, amministrata da Paglia fino a pochi mesi fa, è sotto osservazione della procura per un buco di bilancio di 18-20 milioni di euro in seguito ad alcune operazioni immobiliari spericolate.

Bertone invece, forse già in settimana, sarà sentito dai giudici del tribunale civile di Roma che stanno dirimendo la contesa sull’eredità del marchese Gerini (un palazzinaro romano degli anni ’50-’70) fra i salesiani – la congregazione religiosa di Bertone – e gli eredi Gerini: se venissero condannati, i salesiani dovrebbero sborsare una cifra di 99 milioni di euro.