Non finisce di procurar sorprese la vicenda della nomina di un direttore al Teatro di Roma. Ma quelle riportate ieri da «Repubblica» sono davvero curiose. Dopo la lunga vicenda apertasi più di un anno fa, il cda del teatro si è messo alla ricerca di un direttore che supportasse i due consulenti artistici, Barberio Corsetti e Corona. C’è stata una lunga call, non esaustiva per altro, che si è chiusa l’inverno scorso con la scelta del candidato Pinelli. Dopo alcuni mesi per appianare difficoltà burocratiche e procedurali, al momento di assumere l’incarico il prescelto si è rifiutato, con scuse speciose, che hanno fatto supporre qualche pressione grossolana per dissuaderlo. Anche perché quello che era risultato «secondo arrivato» (Luca De Fusco, che ha girato molti stabili senza lasciare ricordi esaltanti per le sue regie) ha cominciato a godere di campagne propiziatorie potenti e inusuali. Non solo sui giornali (dal «Corriere della sera» allo schieratissimo «Messaggero») ma perfino da una formazione sindacale interna al teatro che, con tutto il rispetto dovuto a qualsiasi rappresentanza dei lavoratori, anche minima, si sarebbe un tempo schematicamente potuto definire «gialla».

Ora tutta questa bagarre si aggrava per l’intervento (riportato appunto da «Repubblica» ) dello stesso ministero della cultura. Il ministro Franceschini non ne azzecca mai una, e richiamando, col suo segretario generale Nastasi, il cda e i «soci» proprietari che vi sono rappresentati (Comune di Roma e Regione Lazio), ordina loro di risolvere il problema della nomina al più presto, ma non tra i tre professionisti (finalmente titolati) invitati a esporre un piano. Nello stesso tempo si fa divieto assoluto che il cda si riunisca come previsto (domani) e magari proceda a una qualche nomina. La minaccia pare sia stata esplicita: in caso di nomina di uno dei tre professionisti (senza sufficienti santi in paradiso), si minaccia di togliere a Roma i galloni di «teatro nazionale», e in proporzione i finanziamenti. Oltre a commissariare l’intera struttura, come chiede l’estrema destra.
Il punto è questo: quasi tutti i teatri pubblici italiani hanno in questi mesi rinnovato i propri direttori, e le scelte sono state ovunque estenuanti e complesse (e spesso non le migliori sul mercato). Ma mai i ricatti della politica erano stati così espliciti e autoritari. Non vorremmo che l’ineffabile ministro Franceschini e il suo apparato, che hanno appena cambiato nel governo Draghi l’intestazione del dicastero da Mibact in Mic, abbiano frainteso in Minculpop. Nemmeno la dc nei tempi più cupi esplicitava tanta arroganza sulle nomine.