Nel quartiere abbandonato «la Ciambella», i palazzi sono cumuli di piani collassati uno sull’altro e muffa che risale dalle cantine ai piani più alti; i piani abitati hanno acqua corrente, ma manca l’elettricità che gli occupanti generano con rumorosissimi motori diesel. Qui abita Fran, figlio di una coppia di tossicodipendenti, oggetto privilegiato dei loro abusi. La sua infanzia è finita presto, fra le sigarette e le droghe che gli stessi genitori procurano. In quel quartiere vige la legge del più forte e si diventa adulti appena le gambe sono abbastanza lunghe da raggiungere i pedali di un’auto.

STEFANO BONAZZI, nel suo Titanio (Polidoro edizioni, pp. 260, euro 15) riporta la conversazione tra Fran e l’educatore del riformatorio in cui è rinchiuso, abbandonato una seconda volta. Il protagonista racconta della sua vita in un palazzo decrepito, ai piani superiori del quale si rifugia, fra la muffa e le macerie, leggendo libri o inventando giochi e feste, unica evasione infantile da una famiglia di sbandati. La sua è la storia di una formazione alla bestialità, nella pura abiezione dell’ambiente urbano e familiare che conduce dal degrado al «resort del crimine», il riformatorio.

«Con Fran era come camminare su un campo minato. Mettevi il piede nel punto sbagliato e l’unica cosa che potevi fare era restare immobile, rilassarti e trovare un peso per illudere l’innesco».

NON C’È SCIENZA MEDICA o psichiatrica che possa far piena chiarezza sulle sue condizioni mentali: rimangono solo le parole limpide, dettagliate e rigorose con cui Fran ripercorre il suo crimine in ogni sua tappa, confessando con precisione il proprio delitto.

Nel racconto plurivoco di Fran, Bonazzi restituisce l’innocenza di un’infanzia trattenuta a brandelli; ma anche quel male cui è così «semplice» accedere, poiché è la funesta normalità cui si è stati educati. Un male con il quale si finisce per identificarsi: un male protettivo, che si finisce per non riconoscere più, rinserrati in un contesto familiare ragione del bene e del giusto di contro al vero male, quello che c’è fuori, oltre il confine di quel quartiere di bestie.

Titanio ci costringe a interrogarci sull’origine del male, se si nasca inghiottiti dalle sue fauci o se a esso si sia educati, e su come rispondere di quello che si compie: oltre il facile manicheismo, entro quali parametri è tale o almeno riconoscibile come tale? Entro quali condizioni di degrado la mostruosità, l’abuso, la violenza diventano pura normalità, la matrice a partire dalla quale leggere il mondo?