Gianna Fracassi, vicesegrtaria della Cgil, questa mattina terrà il comizio a Bari. Lo sciopero generale è la massima forma di protesta sindacale, voi e la Uil non lo proclamavate da sette anni, dai tempi del Jobs act di Renzi. Oggi la situazione è completamente diversa o ci sono elementi di similitudine?

La vicesegretaria generale della Cgil Gianna Fracassi

Oggi come allora al centro dello sciopero c’è il tema della precarietà e delle condizioni del lavoro. È inaccettabile che il poderoso rimbalzo economico a cui stiamo assistendo si poggi su occupazione precaria e discontinua, su un impoverimento dei lavoratori e che le donne – le prime a perdere il lavoro – siano le più escluse. Questo tema, ora come allora, non è centrale nelle scelte di politica economica ed è tanto più inaccettabile oggi perché siamo nella fase di utilizzo dei fondi del Pnrr. Oggi come allora poi c’è un problema di metodo: nel 2014 si agiva in modo esplicito la per disintermediazione come “modernità” nelle relazioni sindacali quando in realtà l’unico obiettivo era l’indebolimento dei lavoratori. Oggi nel caso dell’intervento fiscale ci si è limitati alla mera informazione senza consentire non solo di avviare un confronto ma di poter rimettere in discussione un accordo sbagliato per lavoratori dipendenti e pensionati.

Sul nostro giornale Davide Conti nel 52ennale della strage di piazza Fontana sostiene che solo in Italia la risposta al conflitto sociale è stata regressiva e ha portato alla strategia della tensione e ne vede strascichi nella reazione furiosa dei liberali al vostro sciopero mentre plaude al «ritorno nello spazio pubblico di un pezzo largo della società, non più ricurvo nella solitudine scura della crisi». È d’accordo o non c’è il rischio che la pandemia abbia ancor di più isolato e reso egoiste le persone vanificando la protesta di piazza?
Abbiamo fatto nelle scorse settimane una vasta una campagna di assemblee e mobilitazioni di piazza e le persone hanno partecipato con tutti i limiti che impone questa fase pandemica. Non c’è un tema di isolamento, occorre dare voce oggi al lavoro e a chi si trova in una condizione di difficoltà. La frattura sociale che la pandemia ha ampliato rischia di diventare anche una frattura politica. E questo non è un problema solo del sindacato, anche delle forze politiche. Lo sciopero è lo strumento che la Costituzione mette a disposizione per esprimere questo disagio collettivamente per raggiungere risultati tangibili. Le reazioni indignate e furiose allo sciopero credo siano frutto anche di una distanza molto ampia con la realtà.

La legge di Bilancio che contestate è espansiva ed era l’occasione per ridurre le disuguaglianze che la pandemia ha allargato. La scelta di non intervenire è solo figlia della vittoria della destra all’interno della fin troppo composta maggioranza che sostiene Draghi?
La maggioranza la conosciamo così come sappiamo la genesi di questo governo. Le mediazioni al ribasso sono frutto di questa composizione. Il problema è che su temi come il fisco rischiano di lasciare un segno pesante. In più ci sono alcune assenze nella legge di bilancio: le politiche per i giovani e il contrasto alla precarietà. Non è che ci può essere sempre un secondo tempo, alcune scelte si dovevano fare adesso.

Voi avete criticato il merito – i 7 miliardi di taglio Irpef che non vanno solo ai redditi da lavoro e pensioni – e il metodo – l’essere avvisati a giochi fatti delle scelte del governo. Per la vera riforma fiscale, quella delle pensioni e la governance del Pnrr riuscirete a imporre una vera trattativa con esito condiviso?
Per noi pensioni e fisco insieme alla lotta precarietà sono temi che non si esauriscono con lo sciopero. Abbiamo detto che per quanto ci riguarda continueremo a lottare fino a che non avremo risultati. Intanto abbiamo riaperto una discussione su questo nel paese.

Il continuo appello della Cisl al “patto sociale” e fare marcia indietro sulla sciopero rende plastico un approccio storicamente assai diverso rispetto a Cgil e Uil. Come conciliarlo con la vostra idea di unità sindacale?
Le piattaforme che stiamo sostenendo con lo sciopero di oggi sono unitarie: le abbiamo costruite insieme e noi continuiamo a pensare che quegli obiettivi siano validi ancora oggi e rivendico come organizzazione la possibilità di usare tutti gli strumenti per raggiungere i risultati, incluso lo sciopero.

In questi quasi tre anni di nuova segreteria guidata da Landini molti da sinistra vi hanno accusati di essere stati troppo moderati e di aver adattato le idee che hanno caratterizzato il consenso sociale verso la Fiom e poi la Cgil in un periodo di crisi acuta della sinistra. Questo sciopero apre una nuova fase?
La “fase nuova” è già aperta e forse chi critica non se ne è accorto. A fronte della necessità di una trasformazione sociale che risponda all’equità e alla giustizia, di un cambiamento del modello economico e sociale che abbiamo evocato durante la fase più difficile della pandemia, ci sono troppi segnali che vanno nella direzione opposta. Abbiamo una sfida epocale di fronte a noi: coniugare gli investimenti agli obiettivi di piena e buona occupazione. Non riusciremo se non cambiamo le coordinate e la matrice delle politiche economiche e sociali. Oggi più di ieri è sempre la stessa sfida per la nostra organizzazione: trasformare la società per rispondere ai bisogni delle persone che rappresentiamo. È questo che ci garantisce il consenso e la fiducia dei lavoratori e pensionati da oltre cento anni.