«Nel caso foste rimasti senza carta igienica, c’è sempre il libro di Woody Allen». La stampa americana (la citazione di sopra è dal «Washington Post») e quella britannica («un memoriale che è il capo d’accusa più clamoroso», secondo «The Guardian») hanno accolto come ci si poteva aspettare la pubblicazione del libro di Woody Allen, avvenuta la settimana scorsa – per l’Italia con La nave di Teseo, mentre in inglese è uscito grazie alla piccola casa editrice Arcade, che ha acquistato il manoscritto subito dopo che era stato scaricato da Hachette sotto pressioni dello staff, aizzato da Ronan Farrow.

Per ora – data la chiusura delle librerie – disponibile solo digitalmente, A proposito di niente è un libro in gran parte divertentissimo, scritto con la verve, la passione per i dettagli, il senso dell’assurdo e il ritmo impeccabile che il regista newyorkese ha sempre impresso ai suoi racconti, pubblicati sul «New Yorker» o in raccolte come Without Feathers e Side Effects.

TRA LE PAGINE migliori, quelle dedicate all’infanzia a Brooklyn, in una famiglia piena di donne che lo ricoprivano di affetto, con un padre simpaticamente canagliesco che (non) provvede alla famiglia a forza di espedienti («era un ebreo piccolo di statura ma che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, e che sfoggiava camicie sgargianti e capelli brillantinati pettinati indietro alla George Raft»), che con la mamma Nettie («fedele, amorevole e gentile ma, diciamolo, non era una gran bellezza. Quando anni dopo ho detto che sembrava a Groucho Marx credevano che scherzassi») c’entrava «come il protagonista di Bulli e pupe con Hannah Arendt».

Alle immagini di quell’infanzia relativamente serena (la famiglia ricorda quella di Radio Days), passata in gran parte sognando gli attici sulla Quinta strada, i martini e le donne vestite da Robert Kalloch e Edith Head, che vedeva al cinema o nelle riviste patinate di star dell’amata cugina Rita (una delle donne che ammira di più, insieme a Mae West, Eleanor Roosevelt e l’attuale moglie Soon-Yi), Allen aggiunge altre pennellate che contraddicono non solo lo stereotipo della genesi di un artista nevrotico come lui, ma anche l’immagine «intellettuale» che ce ne siamo fatti, soprattutto in Europa.

I fumetti (Batman, Superman, Flash Gordon) erano le sue letture preferite, piuttosto che i classici della letteratura, intrapresi più avanti, più che altro che far colpo sulle compagne di scuola «impegnate», vestite di nero e senza rossetto, che gli piacevano più di quella frivole («Va detto che queste signorine non aspettavano con ansia il nuovo numero di Capitan America o neanche il nuovo Mickey Spillane, l’unico poeta che fossi in grado di citare»).

«GENTE, state leggendo l’autobiografia di un misantropo ignorante e patito di gangster; di un solitario incolto che se ne stava davanti a uno specchio a tre ante a fare esercizi con un mazzo di carte per nascondere un asso di picche… Certo, alla fine venni travolto dalle massicce mele di Cezanne e dai piovosi boulevard di Pissarro ma, ripeto, solo perché bigiavo e avevo bisogno di riparo (al MoMA; ndr) in quelle gelide mattine invernali», scrive Allen a pagina 15.

Poco dopo leggiamo che -nonostante la leggendaria antipatia per i paesaggi naturali (sì a i film che iniziano con l’immagine di un tassametro, no a quelli che aprono su una cassetta della posta) gli venivano bene anche gli sport e che, fin da giovane, fu accolto con calore dal giro delle riviste umoristiche e dei comici presso cui trovò i suoi primi impieghi, come battutista.

Maghi, detective, psicanalisti, la magnifica intellighenzia newyorkese, i luoghi mitici di Manhattan, il ristorante Elaine, come quelli che ci racconta nei suoi film, popolano fittamente il racconto. Ed è un racconto pieno di donne – amate (come Diane Keaton, che all’audizione per Io e Annie sembrava Huckleberry Finn), sposate (tre matrimoni, tra cui la grande Louise Lasser e Soon -Yi –«che dopo una settimana in un campo di concentramento riuscirebbe a farsi servire la colazione a letto dalla Gestapo»), ammirate (quasi tutte le sua attrici, più degli attori maschi), amate e odiate (Mia Farrow) e anche solo desiderate da lontano (tantissime).

DA QUEST’EFFERVESCENZA di high and low e commedia brillante (che ha fatto infuriare i critici anglosassoni) A proposito si niente si appiattisce (forse prevedibilmente) su un registro molto più cronachistico quando entra nel merito della rottura con Mia Farrow e delle accuse di pedofilia -pagine in cui evoca la versione dei fatti che ci ha sempre raccontato, corroborata, oltre che da uno dei suoi figli e da Soon-Yi, da verdetti del tribunale e testimoni esperti disponibili anche altrove per chi fosse interessato ad informarsi veramente. Purtroppo, in questa cultura forcaiola, quell’interesse non c’è, quindi per ora Allen rimarrà sul registro dei «cancellati». Lasciamo quindi a lui il diritto di chiudere: «Vivere nel cuore e nella mente del pubblico non mi importa niente, preferisco vivere a casa mia».