Nel tardo pomeriggio di un mercoledì di marzo, pochi mesi prima di morire, Michel Foucault si congedò dall’aula in cui aveva appena pronunciato la sua ultima lezione dicendo: «Ascoltate, avevo delle cose da aggiungere sul quadro generale di queste analisi, ma insomma, è troppo tardi». Sono le parole con cui termina Il coraggio della verità e si conclude una vita, ma che in qualche modo potrebbero tornare a farsi sentire ancora oggi con l’uscita di Teorie e istituzioni penali (a cura di Deborah Borca e Pier Aldo Rovatti, pp. 352, euro 35.00) che venti anni dopo la traduzione di Bisogna difendere la società completa l’edizione Feltrinelli dei corsi tenuti da Foucault al Collège de France.

Ora che un bilancio è possibile, capiamo come al lettore di quei corsi venisse data l’opportunità non solo di approfondire la conoscenza di alcuni concetti o della loro incubazione, ma di entrare direttamente in contatto con qualcosa di molto simile alla prossemica di un pensiero in azione, ai gesti che gli consentivano di orientarsi nello spessore antropologico del presente. Le pagine di Teorie e istituzioni penali meritano comunque un’attenzione specifica.

I Piedi scalzi repressi
Siamo nel 1971, Sorvegliare e punire, che di quelle lezioni avrebbe tenuto ampiamente conto nella parte conclusiva, è in cantiere, e Foucault si ritrova impegnato nel lavoro militante del Gruppo di informazione sulle prigioni: la sua risposta alla repressione del Sessantotto. Non a caso, il corso di quell’anno lo avrebbe dedicato allo studio di un’altra repressione, quella voluta da Richelieu nei confronti dei Piedi scalzi, il movimento che nel 1639 era insorto contro l’inasprimento della pressione fiscale in Normandia, quando la grande aristocrazia feudale non fu più in grado di assicurare il controllo del territorio e il re spedì l’esercito a combattere la popolazione, come fosse un nemico esterno. Mentre si assisteva all’esecuzione sommaria di contadini e pezzenti, all’allestimento dei patiboli, ai cadaveri che rimanevano appesi per settimane ai portici delle case, lo spettacolo della guerra cominciava tuttavia ad approfondire le linee di faglia che separavano le varie parti del corpo sociale, dando alla borghesia cittadina l’opportunità di aderire spontaneamente alla resa.

Foucault sottolinea a più riprese questa prospettiva, rendendo plausibile il sospetto che stesse già anticipando la definizione di un potere il cui scopo non si limita al reprimere, bensì fissa al tempo stesso una norma, in quanto forma più desiderabile e dunque naturale di assoggettamento. La regola degli effetti laterali, in altre parole, cioè il fatto che la pena debba produrre conseguenze più decisive proprio presso coloro che non hanno commesso l’errore, potrebbe rappresentare il modo in cui Sorvegliare e punire ci consente di articolare il passaggio dal potere che in Teorie e istituzioni penali ancora reprime, alla dimensione produttiva e disciplinare dei corsi sul potere psichiatrico (1973-1974) e su quegli individui che vennero definìti gli «anormali» (1974-1975).

Con la sedizione dei Piedi scalzi, in ogni caso, apparve evidente qual era il mandato che le forme prestatali di repressione stavano per passare in consegna alle nuove tecnologie di controllo e al disciplinamento della popolazione. L’esercito sarebbe rimasto alle porte di Rouen, infatti, dove la giustizia civile intervenne solo nei primi giorni del 1640, creando l’intervallo necessario alla borghesia per ambientarsi nello spazio politico compreso tra il declino del feudalesimo e l’emergenza delle classi sediziose. Ma mantenere i soldati nelle campagne costava caro, oltre a indebolire i confini, e così le funzioni della guerra interna sarebbero state presto trasferite nell’armamento di una nuova milizia, la polizia, della quale Teorie e istituzioni penali stabilisce la dinastica.

La polizia – dice Foucault – non è tanto una risposta alla delinquenza o un’emanazione diretta della struttura economica, quanto una soluzione militare al problema delle lotte al potere. E sarà sullo stesso terreno presidiato dalla polizia che, in nome della prevenzione, potranno finalmente fiorire tutti i saperi di ordine psicologico, statistico, sanitario e pedagogico che si attivano nella storia dei condizionamenti reciproci tra l’accumulazione degli uomini e l’accumulazione dei capitali. Teorie e istituzioni penali è anche il primo atto di un «grande regolamento dei conti con il marxismo», come lo definisce Étienne Balibar in appendice al volume, che attraverso il confronto con Althusser e una rilettura nietzscheana di Marx, assegna alla morfologia del potere un ruolo creativo nello sviluppo del modo di produzione.

Le forme del potere
Al lettore potrà far comodo tenere a portata di mano l’indicazione data dallo stesso Foucault nel corso di un’intervista del 1975 al Magazine littéraire, dove a proposito delle critiche marxiste a Sorvegliare e punire dichiara: «Io cito Marx senza dirlo, senza mettere le virgolette, e siccome loro non sono capaci di riconoscere i testi di Marx, passo per quello che non lo cita. Ma per caso quando un fisico fa della fisica, sente il bisogno di citare Newton o Einstein?» Proprio come segnalava Marx al termine del primo libro del Capitale, allora, sarà opportuno considerare che anche la creatività del potere descritta in Teorie e istituzioni penali può assumere di volta in volta le forme più diverse, spaziando dalla messa a morte dei Piedi scalzi fino agli effetti laterali della guerra tuttora in atto contro chi non ha un tetto, contro chi sciopera, contro i migranti e i loro figli.