Fotoreporter italiano torna libero dopo venti giorni di carcere
Serbia Mauro Donato, il fotoreporter torinese arrestato in Serbia il 16 marzo, è finalmente libero. Accusato ingiustamente di aggressione e rapina ai danni di alcuni profughi afghani è uscito ieri dal […]
Serbia Mauro Donato, il fotoreporter torinese arrestato in Serbia il 16 marzo, è finalmente libero. Accusato ingiustamente di aggressione e rapina ai danni di alcuni profughi afghani è uscito ieri dal […]
Mauro Donato, il fotoreporter torinese arrestato in Serbia il 16 marzo, è finalmente libero. Accusato ingiustamente di aggressione e rapina ai danni di alcuni profughi afghani è uscito ieri dal carcere di Sremska Mitrovica per tornare in Italia.
Donato si era recato nei Balcani insieme al collega Andrea Vignali per documentare la vita dei migranti e le attività dei diversi operatori umanitari lungo la «Balkan Route». I familiari di Mauro e l’avvocato Alessandra Ballerini, dopo giorni di infinita attesa, ringraziano amici, colleghi e quanti si sono in ogni modo adoperati per la sua liberazione e, in particolare, «il presidente della Fnsi Beppe Giulietti, l’associazione stampa Subalpina, l’ex senatore Luigi Manconi e l’ufficio italiani all’estero della Farnesina».
Donato, 41 anni, apprezzato fotografo nonché uno dei principali autori della mostra «Exodos. Rotte migratorie, storie di persone, arrivi, inclusione», era stato fermato vicino al confine croato mentre tornava dal reportage.
Su di lui era piombata l’accusa di rapina perché identificato attraverso la foto della sua carta identità, fotocopiata giorni prima alla frontiera: uno scatto di dieci anni fa che non corrisponde al suo attuale aspetto.
Ben presto scagionato dalle vittime, perché non c’entrava nulla, ma non – almeno per venti giorni – dal Tribunale serbo che ha voluto, senza motivo, prolungare il suo arresto. Vittima di uno scambio di persona ma anche di un accanimento inusuale, Donato può ora riabbracciare i familiari. «È finita una brutta disavventura», ha dichiarato a caldo il reporter.
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