La manovra di accerchiamento è cominciata e procede celermente. Dal trionfo di Renzi erano passate solo poche ore quando Silvio Berlusconi si è attaccato al telefono per complimentarsi con «Matteo». Toni leggeri: «Complimenti, ma sei anche fortunato!». «E perché?». «Ma perché io non sarò in campo! Così qualche possibilità di vincere ce l’hai». Battute, non discorsi ponderosi o avances di sorta. Ma quel che conta è il gesto, tanto più che dall’entourage del cavaliere confermano: «Una telefonata di cortesia. Ma se a vincere fosse stato Cuperlo non ci sarbbe stata»,
A muovere passi più concreti, poche ore dopo, ci pensa il capogruppo alla Camera Brunetta: «Se Grillo, Berlusconi e Renzi si mettono insieme la legge elettorale si fa in una settimana. Tutti e tre vogliono il bipolarismo. Facciamo la legge e andiamo al voto il prima possibile». Traduzione: se Renzi non si fa impastoiare dall’armata del rinvio, noi siamo pronti a sostenere il mattarellum. Ma attenzione: non è detto che l’offerta sia valida in eterno. «Noi – dice Minzolini – vogliamo votare subito e per questo siamo pronti ad accettare il mattarellum. Tra un anno, con le piazze che prevedibilmente esploderanno, chissà che situazione ci sarà».
Al terzetto di cui sopra si deve aggiungere Nichi Vendola. «L’idea berlusconiana di un governo con dentro anche noi è fantapolitica». Ma sul varare la legge elettorale subito e con tutti, Berlusconi e Grillo inclusi, concorda anche lui. E anche per Sel il mattarellum è l’opzione principe.
Brunetta ha dunque ragione. L’accordo sulla legge elettorale è a portata di mano. Volendo, lo si potrebbe davvero chiudere in tempi molto brevi. Sempre che si sciolga prima il vero nodo politico irrisolto: a definire le regole elettorali del futuro deve essere una maggioranza trasversale quanto più ampia possibile oppure bisogna prima trovare un’intesa di maggioranza e poi, su quella base, trattare con le forze d’opposizione? La prima linea dello scontro è questa. Di qui deriva tutto il resto.
Se passa la prima opzione, più volte sostenuta apertamente anche da Matteo Renzi, è naturale che la legge venga discussa prima dalla Camera, dove i numeri rendono tutto molto più veloce e facile. Se invece bisogna prima trattare con i partiti minori della maggioranza, inevitabilmente proporzionalisti, i tempi si allungheranno comunque di mesi e mesi e la legge resterà senza più dubbi al Senato.
Sembrerebbe ovvio, nella situazione paradossale che si è creata, seguire la strada più breve e sostenuta dal consenso più vasto. L’ostacolo si chiama Angelino Alfano. Per il Ncd imboccare quella via sarebbe esiziale. Così, da un lato invoca a sua volta, per cinguettio di Lupi, un asse privilegiato con il nuovo segretario del Pd, di segno opposto a quello chiesto dai forzisti (“Subito patto di governo chiaro e concreto per fare le riforme”). Dall’altro, e con ben maggiore discrezione, minaccia di far saltare il banco. «Se il Pd fa la riforma elettorale con Sel invece che con noi, è ovvio che la maggioranza non c’è più e il governo cade», dichiarano anonimi ma chiari i dirigenti dell’ex colombaio pdl. Si dice, per diplomazia, «con Sel». S’intende «con Berlusconi e Grillo».
E’ questo il solo punto significativo da ricercare nel discorso che farà domani Letta in Parlamento. Se si schiera apertamente per una legge concordata da subito con tutti, senza vincoli di maggioranza, rischia di essere detronizzato seduta stante. Se prende apertamente posizione per la legge messa a punto, in prima battuta, dalla sola maggioranza, rischia di ritrovarsi subito ai ferri corti col trionfatore delle primarie. Anche cavarsela glissando sul punto chiave non è facile. Il silenzio significherebbe passare la palla ai gruppi parlamentari, dunque ai partiti e in particolare al nuovo Pd di Matteo Renzi. Ncd lo sa bene, ed ecco perché uno dei suoi massimi leader afferma che Letta, nel discorso, deve assolutamente prendere posizione a favore di una legge concordata con la sua maggioranza. Sempre che Renzi accetti di finire in trappola…