Una visione del darwinismo molto diffusa concepisce la selezione naturale come lotta tra individui. Il leone combatte contro la gazzella, la mangusta con il cobra, in una gara di velocità e ardimento. Esiste tuttavia un’altra e più complessa idea dell’evoluzione, verso la quale indirizzano Bert Hölldobler e Edward Wilson nel loro saggio appena uscito Le formiche tagliafoglie La conquista della civiltà attraverso l’istinto (Adelphi, pp. 191, € 20,00) che focalizza l’attenzione sulla trama di rapporti esistente non solo tra individui della stessa specie ma anche tra specie diverse. Secondo i due biologi – tedesco l’uno, l’altro statunitense – la descrizione della vita delle formiche mette in discussione un dogma della biologia contemporanea: mentre tra il leone e il branco di cui fa parte si dà una chiara distinzione, perché i felini si uniscono in associazioni di piccole dimensioni dalle quali si può essere esclusi, per molte altre forme di vita il rapporto è così stretto da rendere organismo e gruppo tra loro indiscernibili. Nel caso delle formiche, questa relazione è talmente salda che pare lecito considerare i formicai un unico «superorganismo».

Da sole non vivono
La proposta, notano gli autori, vanta alcuni precedenti. Già nel 1911 William Morton Wheeler suggerisce che una colonia di formiche sia da considerare «realmente un organismo, e non il suo mero analogo». Come gli organi di un corpo individuale, il fegato o il pancreas, da sole le singole formiche non possono sopravvivere; la colonia mostra dal canto suo proprietà specifiche relative al comportamento, alle dimensioni e all’organizzazione.
Nel formicaio, ad esempio, si danno distinzioni funzionali specializzate come avviene per cuore e fegato.

La riproduzione è affidata esclusivamente alla regina; la circolazione di fluidi e liquidi è realizzata dalle vie di collegamento che esistono dentro e fuori il nido. Secondo Hölldobler e Wilson, solo in questo modo sarebbe possibile cogliere le relazioni tra campi d’indagine fino a oggi separati: la morfogenesi, lo sviluppo della forma corporea dei singoli esseri viventi, e la sociogenesi, la trasformazione dei rapporti che sussistono nel gruppo.
Al di là delle discussioni circa la definizione più stringente della nozione (a proposito della quale nelle pagine finali gli autori esplicitano opinioni diverse), l’idea di «superorganismo» sarebbe in grado di scardinare l’individualismo metodologico che ancora oggi domina le scienze biologiche.

La scelta di concentrarsi su un gruppo specifico di forme di vita è uno dei pregi più evidenti del libro. Invece di teorizzazioni enciclopediche, Hölldobler e Wilson focalizzano il loro discorso su un solo tipo di formiche. Le tagliafoglie mostrano le stesse caratteristiche delle cugine domestiche elevate, però, alla seconda potenza. Composte da milioni, non solo da migliaia, di organismi, le singole formiche hanno dimensioni che possono variare tra i 0.8 e i 5 mm; la varietà di grandezza corporea corrisponde a compiti diversi da svolgere nella colonia: per esempio, la regina è una vera e propria macchina da riproduzione, in grado di deporre 20 uova al minuto, oltre 10 milioni l’anno.

Il saggio dedica pagine intense alle descrizione di sofisticate strategie di comunicazione, il cui dato più sorprendente riguarda il carattere multisensoriale dello scambio di informazioni. Le formiche si orientano circa la strada da seguire per trovare cibo tramite tracce chimiche di ordine olfattivo, e comunicano anche grazie a vibrazioni tattili-acustiche (le stridulazioni) in grado di propagarsi sia nell’aria che sulla superficie delle foglie. Emettendo vibrazioni, le formiche facilitano il taglio dei corpi vegetali e, contemporaneamente, segnalano alle vicine la presenza di materiale appetibile.

Invece di recitare il solito ruolo di infestatrici delle cucine umane o di protagoniste dei sogni a carattere ossessivo, le formiche sono piuttosto il prototipo di un diverso modo di intendere il regno vivente.

Certamente, il rischio di offrire un’immagine antropomorfa delle specie animali non è estraneo ai due biologi. «La conquista della civiltà attraverso l’istinto» annunciata nel sottotitolo è descritta, infatti, tramite il parallelismo insistito tra il comportamento delle formiche e i costumi umani. Le fungaie delle tagliafoglie sono considerate dagli autori «tecniche di coltivazione» che avrebbero consentito «la transizione evolutiva da un’esistenza legata alla caccia e alla raccolta, all’agricoltura». Forzando ulteriormente quella terminologia che sin dalla scuola primaria ci ha raccontato di «operaie» e «regine», Hölldobler e Wilson parlano di vere e proprie «catene di montaggio», che organizzerebbero gli approvvigionamenti, o della «forza lavoro» necessaria ad allevare le forme immature della specie.

Raffinato e arricchito da un prezioso materiale iconografico, da questo punto di vista il volume è in bilico sulla lama di un rasoio: offre analogie che aiutano il lettore a immaginare facilmente la complessità comportamentale di animali considerati spesso di seconda categoria, ma rischia di cedere alla tentazione di rappresentare la vita delle tagliafoglie in termini troppo simili a quelli degli animali umani.

Il saggio è tuttavia prezioso, se non altro perché consente di riflettere in modo approfondito su quale sia il senso evolutivo dell’alleanza mutualistica tra specie. Sarebbero addirittura cinque, infatti, gli attori coinvolti nell’ossimoro della simbiosi conflittuale su cui si fonda la prosperità dei formicai. Da una parte gli insetti sopravvivono grazie alla presenza nel nido di fungaie che svolgono un ruolo essenziale per il loro sostentamento. I funghi sono alimentati dalle foglie tagliate dalle formiche grazie a possenti muscoli mandibolari e disposti lungo piste di collegamento che in superficie possono estendersi fino a un ettaro.

Tramite secrezioni antibiotiche e ormoni della crescita, gli insetti si prendono cura dei funghi, il cui benessere è garantito dall’azione di altri due simbionti: un batterio fissatore dell’azoto e un batterio filamentoso che si annida nel torace delle tagliafoglie in grado di rilasciare anche lui antibiotici che contrastino la diffusione di altri tipi di funghi, parassitali, minacciosi per la colonia.

Da necessità virtù
A loro volta, questi funghi infestanti del genere Escovopsis sono alleati con un lievito nero che si ciba dei batteri filamentosi. Una simile rete di alleanze e conflitti consente di dare un diverso significato alla nozione di «simbiosi», che viene di solito considerata come pacifica e mutua assistenza tra forme di vita: l’uccellino tiene puliti i denti del coccodrillo nutrendosi dei suoi scarti alimentari. Il caso delle formiche mostra invece come anche le relazioni simbiotiche si nutrano di scontri conflittuali. Molte specie descritte nel libro sopravvivono secondo una relazione di scontro coevolutivo: vale a dire che possono prosperare solo se rinunciano a distruggere il loro avversario. Prima o poi, infatti, ne avranno bisogno.