Roberto Finelli e Marco Gatto hanno scritto a quattro mani Il dominio dell’esteriore. Filosofia e critica della catastrofe (Rogas, pp. 160, euro 18). Per «esteriore» intendono il discorso che impone la dipendenza rispetto a un’alterità assoluta, totalitaria e irrealizzabile che strangola, invece di liberare, la vita. Su questo rimando a un simile principio è costruita la «filosofia della catastrofe» che caratterizza il capitalismo del XXI secolo. A pensarci bene, infatti, la «catastrofe» è la figura di un Altro mortifero.

TRE SONO AD AVVISO di Finelli e Gatto le catastrofi attuali: ecologica, geopolitica e antropologica della mente. In realtà ce ne sarebbe una quarta, quella della «sostituzione» degli esseri umani da parte dell’intelligenza artificiale. Fantasma onnipresente nell’immaginario romantico e capitalista, oggi il mito dell’automazione totale spoliticizza la tecnologia e elimina ogni discussione sulla proprietà dell’innovazione e sul suo rapporto con il lavoro di chi cede gratuitamente il proprio tempo e le proprie capacità per arricchire gli oligarchi della Rete. Per Finelli e Gatto il problema non è «la sostituzione dell’umano con le macchine», ma la conformazione alienante della mente umana alla volontà dei capitalisti che investono nella nuova generazione delle macchine digitali. Questa è un’altra forma di «dominio dell’esteriore»: si vincola la vita a un principio ineffabile – la magia della tecnologia – e si distrugge il potere che la forza lavoro ha su questa tecnologia.

Insomma, ChatGpt e altri gadget simili non esisterebbero se non si accettasse la riduzione della conoscenza all’informazione e la separazione della mente estesa dell’infosfera dal corpo e dalle passioni. Su questa duplice scissione è costruito il «dominio dell’esteriore». Il perno attorno al quale gira questa scissione è una sottile costruzione filosofica. Finelli e Gatto parlano di una nuova forma di scolastica postmoderna chiamata «ontologia» che legittima il regime apocalittico-capitalista. Dall’Antropocene allo smartphone, dalle emozioni alla politica oggi è tutto un parlare di «Essere».

LE PAGINE PIÙ ORIGINALI del libro sono quelle dedicate alla decostruzione di questo «Eleatismo» di ritorno, ispirato in maniera acritica e oscura dal «pastore dell’Essere» Martin Heidegger, coglie uno dei nodi culturali dell’attuale contro-rivoluzione neoliberale e postmoderna: la fatale illusione di basare una teoria dell’emancipazione usando i concetti della rivoluzione conservatrice prospettata in maniera contraddittoria da Heidegger.
L’effetto dell’ontologia è svuotare la soggettività vincolandola a un «vuoto» o un’«esteriorità» che definiscono in maniera pertinente nei termini di una «ipostasi linguistica» e di «una parola presa per cosa»: l’Essere, appunto. Una critica, quella di Finelli e Gatto, che è dello stesso livello di quella che ha accomunato interpreti importanti, da Adorno a Bourdieu. Il principale problema della nuova ontologia è il suo «rifiuto della strutturazione dialettica della realtà» e la sua generalizzazione di un’«attitudine estetico contemplativa non critica, né trasformativa». Questo discorso è fondato su un cortocircuito: si vuole cioè realizzare un’emancipazione a partire dalle premesse delle filosofie che hanno alimentato la rivoluzione conservatrice.

LONTANI DAL PROPORRE un impossibile ritorno alle origini, consapevoli dei limiti di alcuni marxismi che hanno sottovalutato, o addirittura liquidato, il problema fondamentale della soggettività gli autori prospettano un ripensamento del rapporto tra marxismo e psicoanalisi, a partire dall’opera di Wilfred Bion. Su questa base riprendono quanto di meglio ha prodotto l’antiautoritarismo a partire dal ’68. A tale scopo Finelli e Gatto rivalutano l’opera di Herbert Marcuse, non nascondendo il loro dissidio rispetto alla concezione «monista» e «pulsionale» del filosofo tedesco legata a una lettura a loro avviso riduttiva della psicoanalisi freudiana realizzata da una certa tradizione della Scuola di Francoforte. Questo nuovo incontro critico tra marxismo e psicoanalisi indica l’esigenza di una prassi e di una lotta che trova una strepitosa applicazione nel «manifesto utopico per una scuola del conoscere/riconoscere» pubblicato in appendice del libro.

Il testo indica una prospettiva strategica non scontata per chi conosce la condizione della scuola oggi. Ma la sfiducia, la subalternità e la «catastrofe mentale» organizzata dal capitalismo neoliberale a suon di riforme devastanti per l’istruzione è il campo di battaglia che il libro invita a praticare nella prospettiva di una nuova «ibridazione» tra humanitas e techné. Il nostro problema, concludono gli autori, è reinventare la libertà come accesso al mondo collettivo e interiore con il grado minimo di autorepressione e di autocensura.