«Cerchiamo crepe da allargare, qualche foro da far diventare spiraglio per coloro che sono al di là e ci guardano», chiariscono le autrici e gli autori nella prima parte di S/Murare il Mediterraneo, a cura di Luigi Cazzato e Filippo Silvestri (Pensa, pp. 260, euro 18). Un libro-viaggio che raccoglie scritture, pratiche di ricerca e metodologie, ma anche sguardi e prospettive analitiche sul Mediterraneo. Diviso in quattro sezioni, indaga la costruzione narrativa (testuale, visuale, sonora, ecc.) del confine mediterraneo, studiando i processi discorsivi di costruzione dei muri da angolazioni molteplici; mentre nelle pratiche di ricerca combina il pensiero postcoloniale con l’approccio decoloniale.

IL VOLUME è aperto da un manifesto-zattera; dunque una zattera elevata a paradigma dell’elaborazione politica e poetica dell’ospitalità, della mobilità. «I muri geo-politici/culturali – chiariscono le autrici e gli autori – costringono le popolazioni, articolano e disarticolano le società che viviamo, incidono la produzione artistica». Di conseguenza, «i paesi d’accoglienza non sono mai una pagina bianca, non sono ancora una pagina scritta, ma una da scrivere». S/Murare il Mediterraneo intende adottare un approccio no border thinking, mettendo in risalto i passaggi trans-mediterranei attraverso una ricerca intersettoriale «capace di coniugare l’analisi politico-culturale con quella creativa perché artistica»; si propone di de-linkare l’ordine del discorso che governa l’area mediterranea.

TRE SONO gli interventi nella prima sezione dal titolo «pensieri smurati». Quello di Paola Zaccaria riflette su un Mediterraneo liquido che nasce dalla (ri)mappatura, con gli strumenti decoloniali proposti da Quijano e Mignolo, delle infine diramazioni in cui si è sviluppata la colonizzazione europea. Non solo verso l’Africa e il Medio Oriente, ma anche in direzione del Mondo nuovo. Il processo di delinking, ossia di sganciamento dall’eurocentrismo, restituisce i luoghi in cui agisce l’inconscio coloniale.
Un’operazione che avviene, per esempio, in Asmat, di Dagmawi Yimer. Luigi Cazzato, invece, nel suo contributo parte da una colonialità legata alla formazione discorsiva del meridionalismo, rimettendo in discussione la cartografia centrata sul rapporto Nord/Sud, lasciando emergere un pluriverso Mediterraneo.

IN QUESTO CONTESTO è possibile collocare il «mare verticale», fattosi confine della Fortezza Europa, e quello decoloniale, che rimette in discussione la ragione occidentale. Il terzo percorso di analisi è di Cristina Lombardi-Diop che analizza il Sud del Paese leggendo la figura del migrante e analizzando i lavori di Agnese Purgatorio e Ingrid Simon.
Dedicata a lingue e linguaggi, la seconda sezione è aperta dal contributo di Annarita Taronna. L’inglese è considerato il milieu di contatto ai tempi delle migrazioni trans-mediterranee: è «un luogo da condividere e un confine da attraversare che segna, tra l’altro, relazioni di potere gerarchiche ed egemoniche tra i territori e i rispettivi abitanti». Il saggio di Rosita Maglie, invece, indaga le contro-narrazioni che riconoscono i diritti umani dei migranti. L’analisi si concentra sul lessico dell’attraversamento, sulle Carte (quella di Roma e di Lampedusa) e sul blog Fortress Europe. Lorena Carbonara, partendo da alcune iniziali considerazioni di Gloria Anzaldúa, mette in relazione, e paragona, gli attraversamenti italiani dell’Atlantico, raccontati in Nuovomondo, e quelli del Mediterraneo, in Terraferma, pellicole firmate da Emanuele Crialese.

LA TERZA SEZIONE – dal titolo “i molti segni sui muri” – si apre con il saggio di Claudia Attimonelli sulla fotografia, e, in particolare sul linguaggio artivista contemporaneo di Jr, francese-tunisino, e dell’inglese Bansky. Il contributo di Gianpaolo Chiriacò riferisce sul rapporto tra canto e memoria nel Mediterraneo. In particolare, prende in considerazione due canzoni: Galghi di Barbara Seck e Katër i Radës (Il naufragio) di Admir Shkurtaj. Trame sonore che parlano di attraversamenti e di memorie che vengono riattivate nella rielaborazione collettiva del viaggio migratorio. Vanna Zaccaro, infine, analizza la produzione letteraria di Raffaele Nigro, il suo sguardo «da Sud» e l’immagine ricorrente del «muro d’acqua».

L’ultima sezione – altri s/muramenti – si apre con un saggio che propone di rileggere e decolonizzare lo sguardo sul Mediterraneo da una prospettiva specifica, quella del Sud Africa. A presentarla è Pier Paolo Frassinelli che ragiona su confini e frontiere, ma anche sui nuovi media. «Smurare e decolonizzare lo sguardo – scrive Frassinelli – è forse imparare a guardare soprattutto a un futuro i cui contorni sembrano delinearsi proprio qui, nei luoghi e nell’immaginario del Sud globale». Filippo Silvestri rilegge il Mediterraneo attraverso tre testi: Empire, di Hardt e Negri, Arcipelago di Cacciari e Monolinguismo dell’altro di Derrida.
Chiude la sezione, e il volume, il contributo di Vincenzo Susca che ribalta l’idea di «barbari», attribuita dai discorsi razzisti ai migranti, sugli «autoctoni» europei.