In pieno tentativo di parricidio, con l’obiettivo di togliere l’ostacolo delle “provocazioni” estremiste di Jean-Marie Le Pen e spianarsi la strada per le presidenziali del 2017, Marine Le Pen deve ora fare i conti con la giustizia. Quattro suoi stretti collaboratori sono nel mirino dei giudici anticorruzione, sospettati di “finanziamento illegale” della campagna elettorale del 2012. Crediti, assunzioni fittizie, false fatture di società-paravento sono al centro dell’indagine (simile a quella che aveva coinvolto nel 2004 Alain Juppé ed era costata all’ex ministro una lunga sospensione dall’attività politica). E c’è di peggio: il micro-partito Jeanne, fondato da Marine Le Pen nel 2010, è sospettato di “truffa” alle legislative del 2012. Il partito ha poco personale politico e per riempire le liste accetta candidature volontarie e approssimative. Per inquadrare in qualche modo questi politici alle prime armi, Jeanne ha proposto un “kit di campagna”: manifesti, fotografie, volantini, che per i giudici sono stati “imposti” come “contropartita obbligatoria per l’investitura”, al prezzo non trascurabile che poteva arrivare fino a 16.650 euro.

Secondo Le Nouvel Observateur, che Marine Le Pen ha minacciato di denunciare, Jeanne ne avrebbe incassato un guadagno netto intorno ai 6 milioni di euro. Intanto, la Procura di Parigi ha aperto un’inchiesta sul Fronte nazionale in base ai sospetti del Parlamento europeo, che vorrebbe vederci più chiaro su 29 assistenti parlamentari dei 23 eurodeputati frontisti, che sarebbero pagati da Strasburgo ma lavorerebbero in Francia per il partito di estrema destra. Sul finanziamento del Fn, c’è anche la notizia di un credito ottenuto da una banca legata a Putin, la First Czech Russian Bank, che avrebbe concesso 9 milioni di euro. Un prestito “assolutamente legale” per Marine Le Pen, che accusa le banche francesi di rifiutare crediti al suo partito per ragioni politiche. “Delirante”, invece, per la presidente del Fn il sospetto del sito di inchieste Mediapart, che ha svelato un’intrusione di hackers che avrebbero scoperto Sms compromettenti con l’entourage di Putin: un credito in cambio dell’appoggio del Fronte nazionale all’annessione della Crimea da parte della Russia, un referendum “senza contestazione possibile” per Marine Le Pen. Il finanziamento al Fronte nazionale farebbe parte dell’offensiva di Putin contro la Ue per l’Ucraina, favorendo i partiti anti-europei che disturbano Bruxelles.

Intanto, lo scontro con il padre prosegue. Il 17 aprile c’è una riunione della direzione che dovrebbe escludere la candidatura di Jean-Marie Le Pen come testa di lista nella regione Provenza-Costa Azzurra, dove l’estrema destra coltiva speranze di vittoria. In seguito potrebbe esserci l’espulsione del vecchio “Menhir” di 86 anni dal partito che ha fondato nel ’72. “Mi difendero’ – minaccia Le Pen – e probabilmente passero’ all’attacco”. Jean-Marie Le Pen minaccia di presentare una candidatura autonoma in Provenza. Ma cosi’ rovinerebbe le speranze della nipote, Marion Maréchal-Le Pen, la più giovane parlamentare all’Assemblea, che potrebbe venire investita al suo posto nel sud per le regionali di dicembre. Marion Maréchal-Le Pen cerca una via a metà strada tra la zia Marine e il nonno Jean-Marie, per imporsi. Per quanto riguarda la linea economica, resta legata alla vecchia posizione liberista e reaganiana, lontana dalla svolta “popolare” di Marine Le Pen. Dal punto di vista ideologico si situa alla destra della destra: per esempio, aveva partecipato alle manifestazioni anti-matrimonio gay, a differenza di Marine Le Pen. Per Jean-Marie Le Pen, la figlia sarebbe preda della nuova guardia, a cominciare dal numero due Florian Philippot, elemento “esteriore al Fronte nazionale”, accusato di “sabotaggio” per voler normalizzare il partito nel “sistema”.