A Genova, il Tribunale del riesame sentenzia il via libera alla Procura della Repubblica: Francesco Cozzi potrà disporre il sequestro di 48 milioni 969 mila 617 euro, mentre alla Lega Nord resta da giocare un altro ricorso in Cassazione.

Una sentenza “politica”, in punta di diritto: «Non solo non esiste alcuna norma che stabilisca ipotesi di immunità per i reati commessi dai dirigenti dei partiti politici, ma anzi esiste una precisa disposizione di legge che impone la confisca addirittura come obbligatoria nel caso in esame» esplicita la motivazione del Tribunale del riesame.

A nulla sono valsi gli sforzi del collegio di difesa. Gli avvocati Roberto Zingari e Giovanni Ponti avevano depositato 36 pagine di memoria. E la contabilità certificata il 27 luglio da PriceWaterhouseCoopers: in cassa il partito di Matteo Salvini aveva solo 5 milioni 518 mila euro. Di questi, appena 730 mila sono il frutto del 2 x 1000 destinato dalle dichiarazioni dei redditi. Il resto? Donazioni, finanziamenti, sottoscrizioni dei parlamentari, quote del tesseramento.

Dopo la sentenza, la procedura impone alla Procura di Genova di chiedere al Tribunale il provvedimento esecutivo. E alla Guardia di finanza di bloccare i conti, in base al decreto datato 4 settembre 2017. Le somme sequestrate alla Lega Nord saranno quindi depositate nel Fondo unico della giustizia. Solo quando la condanna per la truffa dei rimborsi elettorali 2008-2010 di Umberto Bossi e Francesco Belsito (rispettivamente 2 anni e mezzo e a 4 anni e 10 mesi) sarà definitiva, i soldi saranno “scongelati”.

Ma è fuori discussione la convinzione dei magistrati: «Siccome la Lega Nord ha direttamente percepito le somme qualificate in sentenza come profitto del reato, in quanto oggettivamente confluite sui conti correnti, non può ora invocarsi l’estraneità del soggetto politico rispetto alla percezione delle somme confluite sui suoi conti e delle quali ha direttamente tratto un concreto e consistente vantaggio patrimoniale».

Dal punto di vista giudiziario, tutto era cominciato il 23 gennaio 2012 con l’esposto di un “militante di base” della Lega Nord alla Procura della Repubblica. Citava investimenti tutt’altro che trasparenti: diamanti in Tanzania, conti correnti offshore, soldi finiti anche a Cipro. È lo scandalo che travolge il “padre fondatore” della Lega Nord e la sua famiglia. Umberto Bossi si dimette il 5 aprile, ma resta “presidente federale a vita”. Gli succede Roberto Maroni con le scope verdi dei suoi “barbari sognanti”. Dal 15 dicembre 2013 il segretario è Salvini.

Intanto, il faldone d’inchiesta si divide in quattro. E a Genova per competenza territoriale arriva il procedimento incardinato nel conto della filiale locale di Banca Aletti, intestato a Belsito che viene imputato insieme a Bossi, Stefano Aldovisi, Diego Sanavio e Antonio Turci con i due rami del parlamento che si costituiscono parte civile.

Il 28 dicembre scorso Aldovisi (revisore contabile della Lega all’epoca) deposita la documentazione da cui emergono 40 milioni, ma soprattutto operazioni all’estero. Così affiora anche la transazione di 10 milioni dalla Sparkasse di Bolzano al fondo fiduciario Pharus. E la Procura di Genova avvia in Lussemburgo la rogatoria internazionale, affidata ai funzionari dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Occorre sbrogliare la matassa di sigle, società, associazioni riconducibili alla Lega Nord del dopo Bossi. È l’ipotesi di reato di truffa ai danni dello Stato, perché i soldi avrebbero “traslocato” proprio per scongiurare il sequestro della magistratura.

Si tratta, appunto, del provvedimento deciso in seguito alla pena erogata in primo grado il 26 luglio 2017 al (tuttora…) senatùr e al suo tesoriere. Confisca dei 48,9 milioni disposta giusto un anno fa come «somma corrispondente al profitto, da tale ente percepito, dai reati per i quali vi era stata condanna». Ma la richiesta dei pm in prima istanza non era stata accolta dal Tribunale del riesame. Di qui il ricorso in Cassazione con il pronunciamento a luglio che consentiva di avviare il sequestro «di qualsiasi somma di denaro riferibile alla Lega Nord» attraverso una nuova udienza al Riesame di Genova.

A questo punto, il verdetto spiana la strada non solo nei confronti dei 5,5 milioni nelle casse della Lega Nord, ma anche a qualsiasi altra somma di denaro nella disponibilità del partito di Salvini. Significherebbe arrivare fino ai 13 “nazionali” definiti dallo statuto vigente che dichiara come obbiettivo l’indipendenza della Padania, alla galassia di associazioni affiliate e perfino alle Fondazioni promosse dai dirigenti leghisti.

Paradossalmente, la Lega di Salvini può confidare soltanto nell’Europa. Ai 47 giudici che compongono a Strasburgo la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo gli avvocati hanno presentato il 28 giugno un dettagliato ricorso a tutela delle «finalità costituzionali» e della «rappresentanza democratica».