«Quei soldi non ci sono più, sono stati spesi in dieci anni per fare politica» così Matteo Salvini aveva liquidato il processo in corso a Genova che ha portato alla richiesta di pignoramento dei fondi alla Lega per 49 milioni.

LA SENTENZA della Cassazione ha autorizzato la procura a sequestrarli ovunque siano rintracciati e per il Carroccio si è accesa la luce rossa, la soluzione per uscire dall’angolo è stata annunciare ieri: chiedere un incontro al presidente della repubblica Sergio Mattarella, al suo ritorno dalla visita in corso nei paesi Baltici. Il Carroccio ha intenzione di giocare la carta delle libertà costituzionali: la sentenza sarebbe «un attacco alla democrazia, per mettere fuori gioco il primo partito italiano» con i giudici accusati di «fare politica». Ed subito nostalgia per gli anni Novanta e il cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi.

DAL QUIRINALE ieri non è trapelato nulla, mentre Luigi Di Maio ha avvertito: «Lo scandalo riguarda Bossi e il suo cerchio magico e non la Lega di Salvini. In ogni caso è una sentenza e va rispettata». E il vicepremier 5S ha aggiunto: «Ricordo che con la Lega abbiamo stipulato un contratto di governo che prevede di fare insieme norme anticorruzione».

Il deputato dem Franco Vazio, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, ha commentato: «Si tratta di un atto di una gravità inaudita, il presidente della Repubbli è non solo un organo neutrale ma anche il presidente del Consiglio superiore della magistratura. Chiamarlo in causa rappresenta una doppia e gravissima mancanza di rispetto istituzionale». E infatti dal plenum del Csm di ieri è trapelata «seria preoccupazione» per parole e toni ritenuti «non accettabili». Si è fatta sentire anche l’Associazione nazionale magistrati. Per il presidente Francesco Minisci «va ribadito con forza che i magistrati non adottano provvedimenti che costituiscono attacco alla democrazia o alla Costituzione, né perseguono fini politici» e «l’Anm rigetta tentativi di delegittimare la giurisdizione e di offuscare l’imparzialità dei magistrati».

CON I DOCUMENTI rivelati dalla stampa, che mostrano i prelievi sui conti gonfiati dalla gestione Bossi a favore prima di Roberto Maroni e poi dello stesso Salvini, è difficile sostenere le tesi leghista. Eppure Roberto Castelli insiste: «Quei soldi non ci sono più, sono stati necessari per le sedi in giro per il nord, i 75 funzionari, la radio, la Tv, la Padania».

SUL TEMA È INTERVENUTO il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi: «La procura lavora solo su profili tecnici». La battaglia è iniziata nel luglio 2017: in seguito alle condanne in primo grado per truffa aggravata ai danni dello stato di Umberto Bossi e dell’allora tesoriere Francesco Belsito, i giudici di Genova disposero la confisca di quasi 49 milioni di euro a carico del Carroccio, perché «somma corrispondente al profitto, da tale ente percepito, dai reati per i quali vi era stata condanna». Ma nelle casse del partito trovarono poco più di 2 milioni. Così i pm chiesero di estendere l’esecuzione del sequestro, richiesta respinta dal Riesame ma accolta dalla Cassazione il 12 aprile 2018.

NELLE MOTIVAZIONI pubblicate martedì scorso, si legge: «L’esistenza di disponibilità monetarie della Lega Nord si sono accresciute del profitto di reato, legittimando così la confisca diretta del relativo importo ovunque e presso chiunque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all’esecuzione del provvedimento». La Suprema Corte ha rinviato gli atti ai giudici del Riesame di Genova che dovranno pronunciarsi nuovamente, ma seguendo le indicazioni della Cassazione.

Riprende quindi la caccia ai fondi tra conti in Italia e all’estero. Particolarmente battuta la pista del Lussemburgo, dove il tesoriere Giulio Centemero della nuova Lega sovranista vanta agganci grazie alla sua attività professionale.
Ma l’inseguimento dei pm potrebbe non dare frutti: la Lega Nord di Bossi sta andando definitivamente in soffitta. Il nuovo partito salviniano con un diverso statuto sta tagliando tutti i ponti col passato, cercando di mettersi al riparo dai giudici.