Un capannello di quattro-cinque persone si era formato in un angolo della libreria di palazzo Bertarelli, sede storica del Touring Club in corso Italia a Milano. Altre persone, singolarmente, si aggiravano con evidente interesse tra gli scaffali. Ma dal capannello si levava una voce dal timbro sottile che ci sembrava di averla sentita più volte, in passato. Una voce alquanto familiare, di quando da ragazzi le nostre orecchie prestavano particolare attenzione alle storie e alle descrizioni che ponevano al centro i viaggi e le avventure di mare. Il gruppetto si era sciolto e con piacevole sorpresa apparve la figura, ormai avanzata negli anni, di Folco Quilici. Proprio Quilici, “l’esploratore dei fondali marini”: la prima frase che ci venne in mente per definirlo. La sua voce fuoricampo, nelle riprese cinematografiche e televisive dei mari di mezzo mondo, ci aveva ispirato per avviarci con dedizione alla disciplina subacquea. Da noi praticata nel mare della nostra città dopo averne presto tralasciato, armati di fucile per la pesca, lo spirito sportivo. La passione per il mare era andata anche oltre, se a 15 anni, imbevuti di letture a sfondo marinaresco, a parte l’esploratore Quilici, ambivamo di mollare casa e scuola pur d’imbarcarci da volontari su una nave della marina militare. Ma alla Capitaneria di porto c’informarono che l’età minima per arruolarsi era di 16 anni. Subentrò la famiglia poi, con le buone e con le cattive, a farci cambiare idea.

Folco Quilici lì davanti a noi, dunque: un incontro emozionante che quasi c’imbarazzava. In anticipo nella libreria centrale del Touring, mentre la gente vi giungeva alla spicciolata: doveva presentare un libro, l’ultimo da lui scritto, con tema ancora il mare. Ci presentammo. Da parte nostra con trasporto. Forse eccessivo, per significargli ammirazione e affetto. E gli stringemmo la mano. Una stretta di mano robusta. Del tutto normale, per chiunque. Non per lui. Tanto che emise un inequivocabile gemito, lasciandoci costernati e stupiti: possibile, che un consumato viaggiatore – ancorché sensibile e gentile – in luoghi talvolta estremi, si dolesse per una stretta di mano sia pure forte e sincera? Quilici ci risollevò convenendo che la stretta di mano non era stata affatto una morsa, ma in quel frangente soffriva di una sindrome infiammatoria localizzata nelle articolazioni delle dita e anche una presa leggera lo limitava. Di colpo cessò l’incanto che per qualche minuto ci aveva staccati dal mondo. Di fronte c’era un uomo amabile e fragile, certamente lo stesso esploratore dei fondali marini che nella vita reale ci aveva fatto fantasticare durante gli anni dell’adolescenza. Ma non c’era più il suo mito.