«La legge sul “Giorno del Ricordo” ha avuto il merito di rimuovere definitivamente la cortina di indifferenza e, persino, di ostilità che, per troppi anni, ha avvolto le vicende legate alle violenze contro le popolazioni italiane vittime della repressione comunista», così il Presidente Mattarella nel suo discorso di ieri al Quirinale.

Un discorso tutto teso a sottolineare il valore di un’Italia libera e democratica contrapposto al sanguinoso portato di ogni totalitarismo, quello comunista in primis. Quasi automatico, parlando di foibe ed esodo degli italiani dall’Istria e dalla Dalmazia, pensare al comunismo ma si rischia di lasciare in ombra quel totalitarismo che è stato causa scatenante dei massacri. E l’altro totalitarismo non è il nazismo, non sono i tedeschi dietro a Hitler, in questo caso sicuramente e prima dei nazisti, c’è il fascismo.

COSA ESATTAMENTE SANNO oggi gli italiani di quel drammatico periodo? Porsi questa domanda non è una peregrina ginnastica intellettuale, è semmai il solo modo per comprenderne il portato politico. Sarebbe sbagliato dire che davanti ai discorsi se pur solo orecchiati, i film visti in televisione, gli spezzoni di frasi raccolti durante i telegiornali, l’idea che è maturata nella testa dell’italiano medio è che alla fine della seconda guerra mondiale i comunisti slavi abbiano trucidato barbaramente più italiani possibile e costretto, quindi, alla fuga di un’intera popolazione terrorizzata che, essendo di lingua italiana, se non scappava veniva infoibata? Se così fosse sarebbe una brutta consapevolezza, pericolosa anche.

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MATTARELLA HA VOLUTO ricordare il proprio stupore di fronte ai negazionismi ma è inevitabile ricordare le decine di anni di persecuzione che l’Italia aveva inflitto agli slavi fino ai massacri compiuti in Jugoslavia e questo non è voler giustificare, ridurre, speculare sulle foibe e l’esodo. Nessuno, proprio nessuno nega l’esistenza di gente infoibata o di città istriane svuotate dalla presenza italiana.

TRA GLI STORICI CHE da anni fanno ricerca seria su questi temi ci sono valutazioni diverse sui numeri, è vero, ma poco cambia nella sostanza anche se rigore vorrebbe che non si desse la parola a quei politici che dichiarano «decine di migliaia di infoibati», per correttezza almeno e per evitare che qualcuno lo ripeta poi in tv o sul giornale così che sembri un numero vero.

CONTESTUALIZZARE VUOL dire anche ricordare che si sta parlando di guerra. Una guerra che ha coinvolto come non mai le popolazioni civili, una carneficina dove nessuno ha risparmiato nulla a nessuno. Interi popoli sono dovuti andarsene dalle loro case in tutta Europa, perché questo è la guerra. Che questa brutalità si sia espressa e anche ampliata in un territorio come la Venezia Giulia e l’Istria non può stupire, o restare sconosciuto: qui alla guerra si sommava la guerra civile, qui ci si scannava per far vincere la propria parte politica e per conquistare un altro pezzo di territorio. Tutti. Non solo i comunisti titini.

LUCI E OMBRE NELLE parole di Mattarella ieri. Chiediamo un commento a Ksenija Dobrila, Presidente di una delle associazioni culturali degli sloveni di Trieste (SKGZ) per la prima volta invitate dal Presidente a partecipare alla Cerimonia al Quirinale.

Racconta che il viaggio è stato verso Roma è stato pieno di dubbi e di ricordi. Il clima politico difficile, le speculazioni sulle tragiche vicende del confine orientale, quel colpevolizzare troppo spesso sloveni e croati lasciando gli italiani in una specie di purezza incolpevole, l’avevano ferita per anni. Ricordava la sua storia, la storia della sua famiglia e degli sloveni di quelle terre, vessati, massacrati, vilipesi da una italianizzazione forzata e poi dalla brutalità fascista. Ricordava la guerra di Liberazione che voleva liberare tutti, cacciare fascisti e nazisti e c’era riuscita con un popolo dietro, con la volontà e il sacrificio che avevano unito i Balcani. Difficile raggiungere Roma, accettare l’invito «ognuno ha un bagaglio storico suo proprio sulle spalle».

AVEVA VINTO IL RISPETTO per il Presidente Mattarella, la speranza di vedere una luce, la voglia di guardare in positivo. E positivo era stato quell’invito dopo tutto era stato riconoscere che esiste anche un’altra parte che c”è e che dovrebbe avere voce in capitolo.

«Il Presidente ha detto che la violenza fascista antislava è un dato storico incontestabile», una mezza frase ma non è piccola cosa e, poi, «ha nominato Arbe/Rab il campo di sterminio italiano dove sono morti migliaia di donne, bambini e vecchi, sloveni e croati», solo nominato ma è luce. Per Dobrila vanno guardati e assecondati questi passi, piccoli, soffocati da altro bailamme, ma comunque passi in avanti e, chiosa: «le facce dei fascisti che conoscevo ed erano seduti non lontano da me … non mi parevano contente».

Così, nel mentre a Trieste il Sindaco, intervenendo alla cerimonia sulla foiba di Basovizza si univa alla schiera di quelli che chiedono a gran voce l’annullamento dell’onorificenza che il Presidente Saragat aveva assegnato a Tito, Mattarella citava Claudio Magris: «Ancor più inammissibile e sacrilego sarebbe se gli italiani e gli slavi usassero i loro morti per attizzare odi reciproci, in una terra il cui senso – come hanno visto i grandi scrittori triestini – è la compresenza di culture, l’oppressione o scomparsa di una delle quali significa una mutilazione per tutti».

INNEGABILE CHE sloveni, croati, italiani, tedeschi, abbiano convissuto in buon equilibrio per secoli sulle terre di confine che a est sono così permeabili e ibridate: tutto questo è sempre stato bellezza e pace e va confermato. Rinfocolare contrapposizioni, stuzzicare suscettibilità, diventa una colpa.

«Studiare la storia, o meglio le storie, di quanto avvenuto al confine orientale oggi è forse il più grande e prezioso atto politico perché l’unico capace di costruire un futuro di convivenza tra genti e Stati limitrofi» scrive l’Anpi. Il Presidente Mattarella ha voluto mettere al centro del discorso la forza della democrazia e dell’appartenenza comune europea, l’Anpi offre una precisazione: «Se oggi questi Stati appartengono all’Unione europea, dunque si riconoscono in quel grande progetto antifascista nato dalle macerie della seconda guerra, è ancora una volta la società civile a lanciare occasioni per costruire ponti e non muri».