Le due parti che componevano Le Sacre per le coreografie di Vittorio Sieni sono risultate piuttosto distanti, al limite sono parse prodotti di concezioni opposte. Non credo che qualcuno lo volesse, ma le cose sono andate così perché i rapporti tra le musiche e le coreografie non erano i medesimi nella prima parte dello spettacolo (il Preludio con la musica di Daniele Roccato da lui stesso eseguita col suo contrabbasso) e nella seconda (La sagra della primavera di Stravinky con l’orchestra dal Comunale diretta da Felix Krieger. Nella suite per contrabbasso solo tutto l’andamento dell’insieme è stato governato da un flusso musicale che qui non è mai narrativo, ma è come privo di punti fermi e par piuttosto scivolare per itinerari di trasformazione continua anche se moltiplicando la presenza di oggetti/immagini sonore che sono simili, tra un Bach sfumato e un Paert vagabondo.
Le sacre stravinskiano è invece preso e trattato proprio per quel che fu originariamente: la colonna sonora di un balletto: è la coreografia che detta col proprio andamento la lettura della musica. Questa ne esce alquanto malridotta.

Forse è destino che da ciò ci si possa salvare solo facendo coesistere nel tempo e nella durata un’azione di danza e una musicale che siano state preparate indipendentemente. Era quel che facevano John Cage e Merce Cunningham quando progettavano una qualche collaborazione. Naturalmente l’oggetto diventa impreciso nel moltiplicarsi delle libere interpretazioni, ma nemmeno in discoteca avviene che la musica sia asservita al gesticolare. La compagnia di Sieni è straordinaria, ma non si vede perché debba servirsi di un’opera musicale, impoverendola. Per fortuna con Roccato non è andata così.