“Ma adesso voi dovete cantare, perché è un posto bellissimo per farlo!”: John Surman fa tenere una nota al pubblico raccolto di domenica mattina nella basilica di San Gaudenzio, e ci improvvisa sopra al sax soprano, con una cadenza veloce, da musica popolare da ballo, muovendosi sotto la celebre, altissima cupola dell’Antonelli. Il musicista inglese, che si alterna fra sax e clarinetto basso, è deliziato dall’architettura e dall’acustica della chiesa: quando le sua frasi sono spaziate, negli attimi di pausa si può apprezzare l’espandersi del suono, lo si sente “salire” nella cupola.

Novara Jazz ha inventato delle gradite tradizioni all’interno della rassegna. Una è appunto quella dei concerti acustici a San Gaudenzio: e la scelta per quest’anno di Surman era particolarmente azzeccata. Un’altra è quella dei soli acustici di contrabbasso in una delle sale della Galleria di Arte Moderna Giannoni: e dopo Barry Guy e Roberto Bonati è stata la volta del norvegese Ingebrigt Haker Flaten. Ma soprattutto Novara jazz, nata nel 2004 e arrivata alla sua quindicesima edizione, è riuscita a diventare essa stessa una tradizione, consolidatissima in città, a partire dall’uso di luoghi centralissimi e simbolici come il Broletto e San Gaudenzio.Tre fine settimana lunghi, dal giovedì alla domenica, a cavallo fra maggio e giugno, con concerti – tutti gratuiti – in vari orari e in diverse sedi a Novara e dintorni, fra cui sei serate al Broletto. E un cartellone che conferma Novara Jazz (che vanta da anni anche un nutrito programma di appuntamenti fra l’autunno e la primavera) come una delle presenze più originali e confortanti nel panorama non esaltante dei festival di jazz.

Tra le inclinazioni della rassegna occupa non da oggi un posto privilegiato il jazz scandinavo, da cui sono arrivate del resto alcune delle novità più stimolanti degli anni recenti, che in diversi casi sono riuscite a fare breccia anche in un pubblico giovanile proveniente da interessi come punk, hardcore, noise, ecc. Dopo la Fire Orchestra e gli Angles 9, quest’anno Novara Jazz ha proposto The Young Mothers, band americana di Ingebrigt Haker Flaten, che risiede da alcuni anni ad Austin, Texas: bassista irruente, tra le figure chiave del jazz scandinavo, membro del trio di culto The Thing (con il sassofonista Mats Gustafsson e il batterista Paal Nilssen Love). Nelle sue Mothers c’è un parossismo caro a molta scena scandinava, Haker Flaten suona il basso elettrico come in un gruppo hardcore, il batterista-vibrafonista usa la voce come un cantante di trash metal, ma ci sono anche momenti rarefatti e una certa cantabilità un po’ alla Don Cherry, e una componente hip hop: un bel miscuglio, in cui i continui cambi di situazione sono da un lato un pregio e dall’altro un limite, con un po’ troppo up and down di tensione.

Nato in Svezia da genitori croati, alla tromba nella Fire e in Angles 9, Goran Kajfes si è presentato a Novara Jazz alla testa della sua Subtropic Arkestra, con chitarra, tastiere, basso batteria e due sax: la dimensione orchestrale non è esasperatamente di impatto come nella Fire, e su una base robustamente rock punta su un’epicità che con abbondante uso di riff vira a seconda dei casi verso i Balcani, la Turchia, l’ethio-jazz, in una musica aperta, cordiale, calorosa.

Ma formidabile – una scossa – soprattutto Horse Lords, quartetto americano chitarra, basso, sax e batteria, all’insegna del post-rock e del minimalismo: brani che sono flussi di suono, saturi, compatti, potenti, senza concessioni, congegnati alla perfezione nelle loro modificazioni e concatenazioni interne, e pieni tanto di rigore che di felicità.