Esiste un modo di rivolgersi a una moltitudine mista che comprende anche persone non binarie? Secondo Valentine aka Fluida Wolf, autrice di Post Porno Corpi liberi di sperimentare per sovvertire gli immaginari sessuali (Eris Edizioni, pp. 68, euro 6) la soluzione esiste e viene esposta in una chiosa all’inizio del saggio: «In questo libro si è scelto di non usare il maschile generalizzato previsto dalla norma grammaticale italiana in quanto espressione di un uso sessista della lingua. L’uso dell’asterisco al posto del suffisso finale di una parola permette di superare la dicotomia di genere femminile/maschile e usare una forma neutra, in un’ottica di inclusività. In un caso si troverà anche l’uso del suffisso non binario ’u’».

La questione del linguaggio inclusivo è strettamente connessa a quella dell’immaginario pornografico e prevede come perno l’apertura di narrazioni e autonarrazioni a un universo sfaccettato, non necessariamente catalogabile, che non debba essere sempre ricondotto a un universale maschile, bianco ed eteronormativo. In questo senso, è possibile definirla come una scelta «performativa», con ricadute ed effetti sulla vita quotidiana e su chi per troppo tempo è stato invisibile.

Erotismo non banale
Nel 1955 John Austin, filosofo del linguaggio dell’Università di Harvard, coniava il termine «performativo»-dall’inglese to perform, eseguire. In How to Do Things With Words Austin raccontava le implicazioni del suo neologismo, spiegando che gli enunciati linguistici non servono solo a descrivere lo stato delle cose o a esporre un fatto, ma possono effettivamente modificarlo. Modificare le parole significa modificare la società tramite la percezione collettiva: il discorso pubblico non è più una creazione di soli uomini maschi etero che si riconoscono nel sesso con cui sono nati.

Per essere valido, un enunciato performativo deve essere indirizzato e recepito da una comunità di riferimento, necessaria a rendere le parole un atto sociale: non è detto che in tutti i contesti gli uomini bianchi cisgender siano in maggioranza. La lingua è la prima di numerose red flags che indicano il privilegio di una parte della società che troppo a lungo si è auto descritta come totalità, manipolando l’immaginario comune e influenzando il modo in cui tutti gli individui, compresi i soggetti altri e invisibili, entrano in relazione. Per riappropriarsi della vita bisogna riappropriarsi della lingua: lo stato delle cose muta quando le parole diventano fatti con cui aprire una breccia nella norma, ed è per questo che la «normalità» del discorso è il più stridente dei campi di battaglia di Wolf, persino più scandaloso del tema del libro, il discusso Post Porno.

La scelta linguistica è connessa alla tesi finale del volume: la sessualità è una responsabilità collettiva, e deve essere considerata nella sua accezione performativa. Non solo è possibile educare alla sessualità e alla pornografia, ma è anche necessario: l’alternativa è il patriarcato, la banalizzazione dell’erotismo e l’ennesimo sfruttamento dei lavoratori, costretti ad accettare come banali e quotidiane le pratiche più estreme per poter rimanere sul «pornomercato».

Transizioni
Nel dibattito sulla legittimità femminista del porno, Wolf e le accolite del post porno si schierano come sex positive, ma in contrasto all’oggettificazione e allo sfruttamento dentro e fuori dal set: sono promosse solo produzioni che garantiscono stipendi equi, consensualità in scena, protezioni e anticoncezionali obbligatori.
L’obiettivo dichiarato è il superamento di quel porno che prevede «corpi che non contano», ma soprattutto del contesto che lo rende maggioritario e fa sì che «pornografia» sia sinonimo di godimento egoistico e maschilista, invece che un’occasione di visibilità per identità che sopravvivono, un motore di accettazione e transizione, dolore e cambiamento.

Il campo pornografico non apre una battaglia da posizionamento facile: non si tratta di escludere corpi per esaltarne altri, ma permettere che chiunque desideri fruirne possa riconoscersi, vedersi raffigurato ed identificarsi. Perché il porno sia libero bisogna oltrepassare «questo immaginario sessuale, che ha popolato le fantasie degli uomini per decenni, ad aver contribuito alla costruzione di un modello sociale fortemente eteronormativo, ossia di imposizione della eterosessualità come norma, dove la divisione tra il maschile e il femminile era stabilita e rappresentata da corpi esasperatamente sessualizzati e da ruoli ben definiti».

Nonostante la sua ubiquità lo faccia percepire come dominante, l’immaginario porno mainstream, come quello di Pornhub, è solo una parte del tutto: la proliferazione di siti alternativi e femministi, come quello della svedese Erika Lust o della barcellonese Muestra Marrana, dimostrano la versatilità del settore e il suo potenziale artistico e politico.

Il porno, insomma, può portare alla luce elementi storici occulti, abbattere il colonialismo, ridisegnare i confini del «bello» imposto negli altri ambiti culturali socialmente accettati. In questo senso, il post porno è un superamento del porno: il suo obiettivo non è eccitare, ma rappresentare corpi improduttivi ed esteticamente marginali. Se si rimane nell’ambito inconscio del desiderio, però, è necessario sottolineare che l’obiettivo di Post Porno non può essere quello della prescrittività.

Se è vero che le produzioni possono essere analizzate e classificate senza margine d’errore, è altrettanto vero che non tutte le rappresentazioni possono essere targhettizzate: non è scontato, ad esempio, che un film porno che abbia come tema il sesso lesbico si rivolga a un pubblico di donne lesbiche. L’erotismo post pornografico esiste nel suo essere un atto politico che viene ricevuto e apprezzato da una precisa subcultura di riferimento, in grado di decifrarne i codici e di apprezzarne le sfumature.

Soggettività altre
In quest’ottica, il post porno è una performance artistica dal valore sociale, con riscontri comunitari più che erotici in senso stretto e, a differenza del porno tradizionale, risulta essere portatore di una funzione socialmente accettabile. Ma la ragione d’essere di un prodotto dichiaratamente pornografico è quella di essere socialmente accettabile? Non porsi questa domanda significa accettare la contrapposizione ideologica fra due modalità di rappresentazione che dovrebbero invece essere scisse da qualsiasi giudizio di tipo morale.

Eppure, porno e post porno possono coesistere come categorie mediatiche con contenuti, funzioni e status sociali diversi, così il cinema e il teatro o la televisione e la radio. Soprattutto, attribuire al porno una funzione prescrittiva significa privare la questione delle «soggettività altre» dei suoi fondamentali connotati economici e sociali: il problema non è quali corpi siano più visibili in determinate nicchie del mercato pornografico, il problema è cosa succede a quei corpi fuori dall’immaginario erotico, la loro invisibilità quotidiana. Inoltre, che un certo tipo di porno si nutra di tabù, che sia scorretto, fastidioso, limitato, pruriginoso ai limiti del piacevole, non impedisce che qualcuno, magari ostracizzato e discriminato nella vita quotidiana, possa, proprio in virtù di questo, trovarlo eccitante.