Un primo modo di fare storia, di raccontare la genesi delle antiche popolazioni é fornito dalla mitologia. Ebbene la leggenda narra  che la scoperta del vetro, raccontata da Plinio il vecchio nel trentaseiesimo libro della sua Naturalis Historia, sia stata fatta da mercanti fenici che, tornando dall’Egitto con un grosso carico di carbonato di sodio, si accamparono una sera sulle rive del fiume Belo per riposare. Poiché non avevano pietre a disposizione su cui collocare gli utensili per la preparazione del cibo, presero alcuni blocchi di salnitro e vi accesero sotto il fuoco che continuò a bruciare per tutta la notte. Il mattino dopo i mercanti si accorsero che al posto della sabbia del fiume e del carbonato di sodio, vi era una nuova materia lucente e trasparente.

In realtà la prima lavorazione del vetro risale al III Millennio a.C. in Egitto. Nella metà del I secolo a.C. in Siria, soprattutto a Sidone, si diffuse una tecnica molto raffinata del vetro soffiato, che consentì ai maestri vetrai di fabbricare oggetti più leggeri e trasparenti. Un gruppo di sei producevano vetri eleganti firmandosi, una delle rare firme dell’artigianato artistico romano poiché a quei tempi l’artigiano in genere non aveva consapevolezza delle proprie capacità, con una formula bene augurale di tipo giudaico.  Cicerone parlava del vetro come di un bene paragonabile all’argento. Ma con la scoperta della soffiatura a canna non sarà più così. Il vetro diventa un materiale utilizzato per contenere non solo farmaci e profumi ma anche alimenti. Ad acquistarlo è la classe media che può permettersi una casa ricercata. Nel mondo antico dove esiste una fitta rete di contatti e scambi dove uomini e materiali , ideologie e tecnologie circolano liberamente emerge Ennione, maestro vetraio siriano palestinese vissuto attorno alla prima metà del I sec. d.C, uno dei pochi a “firmare” i suoi prodotti. Una sua coppa di vetro decorato con tralci d’uva, conservata al Louvre, reca una scritta in greco che dice: «Ennione fece. Il compratore ricordi».  Il cartiglio “ΕΝΝΙωΝ ΕΠΟΙΕΙ” (Ennione fece) in lettere greche, era dunque la sua firma conosciuta in tutto il mondo romano. L’artigiano esportava i suoi bellissimi manufatti, splendide brocche, vasi di pregio e coppe decorate con scanalature e motivi naturalistici, in tutto l’ impero ed utilizzava la lingua greca poiché nella parte orientale dell’impero la lingua latina non era frequentemente utilizzata. Nella sua officina inventò la tecnica della soffiatura a stampo chiuso che nel corso dei secoli ha alternato momenti di grande fortuna a momenti di assoluta amnesia. Una tecnica complessa che venne subito sfruttata dalla fiorente industria romana e nel lungo periodo portò all’abbandono della maggior parte dei procedimenti di lavorazione a nucleo friabile e a colatura, facendo seria concorrenza alla produzione di molti oggetti di uso domestico quotidiano, sino allora fabbricati in ceramica. Essa infatti consentiva ai vetrai di produrre grandi quantità di oggetti, a costo relativamente basso e quindi alla portata di tutte le classi sociali.

Dall’Italia al Metropolitan di New York. Talmente belle, le coppe di Ennione, da essere state al centro della mostra “Ennion: Master of Roman Glass”, la prima di vetri antichi del Metropolitan Museum of Art di New York,  in seguito trasferite al Corning Museum of Glass nello stato di New York, noto centro americano di produzione del vetro, proprietario di una delle coppe in mostra. Alcune di esse, assieme a questa terza furono rinvenute in località Cuora di Cavarzere tra il 1904 e il 1905, all’interno di un corredo funerario romano. Assieme ad altri cinque straordinari vetri, costituivano il corredo di un’eccezionale tomba romana ad incinerazione rinvenuta in località Cuora, a nord di Adria, assieme ad altre otto sepolture, anch’esse ricche di vasellame vitreo e appartenenti probabilmente ad un piccolo sepolcreto proprietà di un gruppo familiare agiato. Le coppe, entrambe integre, furono realizzate nelle tecnica della soffiatura a stampo, introdotta in Italia settentrionale dallo stesso Ennione, che consentiva di ottenere superfici decorate a rilievo e forme dai profili articolati. Le due coppe adriesi, di un bel colore blu cobalto trasparente, sono molto simili tra loro, le pareti dal profilo carenato risultano decorate nella parte superiore da motivi vegetali, tra i quali si inseriscono due tabelle ansate con iscrizioni in greco recanti la firma del maestro vetraio. Ma come finì la terza coppa negli Stati Uniti? I circa sessanta oggetti in vetro rinvenuti vennero venduti nel commercio antiquario ed alcuni furono messi in vendita a Venezia. Circa 26 pezzi furono acquistati dal museo di Este ed oggi si possono ammirare al museo di Adria; altri furono acquistati dalla compagnia Venezia Murano per il Civico museo vetrario di Murano e altri, infine, assieme alla terza tazza adriese di Ennione finirono nella collezione Sangiorgi poi confluita nel Corning Museum of Glass.