Nella corte del Broletto la platea è al completo, e nell’arco del set non ci sono defezioni: e dire che ci sono appassionati di jazz, ma anche giovani per cui invece il jazz non dev’essere proprio il centro dei loro interessi, nonché una buona dose di pubblico di una certa età che ha l’aria di essere attirato più che altro da un concerto gratuito, nel fine settimana all’aperto e in pieno centro storico, in mezzo al passeggio e agli aperitivi novaresi, e che cosa sia la Fire! Orchestra magari nemmeno lo sa.

Il concerto della Fire! è stato la proposta culminante di dodici giorni di fitta programmazione, su tre fine settimana, e con diversi altri punti alti (Rob Mazurek, Silke Eberhard, Cristiano Calcagnile Multikulti, Barry Guy fra gli altri), del festival di Novara Jazz: tredicesima edizione, che in un panorama di programmazione jazzistica non proprio esaltante conferma Novara Jazz come una presenza preziosamente vivace e fuori dal coro. Che ci siano parecchi ragazzi è un sintomo che ci dev’essere un piccolo ma significativo fenomeno Mats Gustafsson, da cui la formazione è capitanata (verbo appropriato al piglio del sassofonista svedese nel comando e all’atteggiamento che vuole essere un po’ guerriero della band): vuoi perché c’è un pubblico che si interessa in maniera trasversale di esperienze che hanno come comune denominatore di essere alquanto estreme e non convenzionali, vuoi per via delle collaborazioni di Gustafsson, e del trio The Thing di cui fa parte, con Sonic Youth, Thurston Moore e Neneh Cherry, vuoi perché la stessa Fire! si è fatta un certo nome fra chi segue post-punk e ambiti del genere.

Con la Fire! già schierata sul palco, comincia da solo Gustafsson con una sagra di barriti e acuti al suo sax baritono. La formazione è nutrita, diciassette elementi, e nel numero e nell’organico – due batterie, due tastiere, due chitarre, due voci, abbondanza di fiati, eccetera – dichiara il suo gusto per una dimensione energetica, il piacere per l’impatto materico, la vocazione per l’esagerato; fra i musicisti ci sono diverse figure di primo piano della scena svedese, una veterana come la sassofonista danese Lotte Anker, e anche Nate Wooley, uno dei più innovativi tra i trombettisti delle ultime generazioni, americano, che dà manforte a questa formazione scandinava con eccellenti, spesso concitati assoli.

Nel giro di poco siamo ad una modalità tipica della Fire!, un riffone bellicoso, epico, insistito, sulla cui base si scatena una sarabanda free: ma questo, un tòpos a cui la Fire! a volte indulge troppo, qui è solo un colore di una tavolozza molto ampia. Quasi subito dopo ecco un passaggio arrangiato di carattere quasi classico-contemporaneo, punteggiato dalla tuba e tagliato da stacchi molto violenti, e poco più avanti un motivo di sapore folk con protagonisti il clarinetto basso e la tromba, quindi la tromba a guidare un motivo che col canto delle due vocalist viene fuori un po’ indianeggiante. Al fondo della proposta della Fire!, nel suo uso ammiccante del radicalismo, ci pare di vedere qualcosa di ambiguo (ma non è questa l’occasione per argomentarlo), ma in ogni caso la capacità di muoversi su vari registri, anche con notevole raffinatezza, è rimarchevole.

La soluzione di due cantanti, che nei pezzi sono insieme dialogando o alternandosi, è efficace nel dare dinamismo e varietà all’esibizione, e molto interessante, in combinazione con un ventaglio espressivo free/contemporaneo/avantgarde, è la forma della vocalità impiegata, che non è di impronta jazzistica, ma piuttosto pop, da gruppo rock, dando ad alcuni brani un originale appeal da quasi-canzoni, o che eventualmente può virare verso lo sperimentale, come in una sequenza in cui si mischia ad effetti elettronici.