Il Festivaletteratura di Mantova ha ospitato quest’anno la presentazione in anteprima del primo graphic novel di Alessio Spataro, fumettista satirico famoso tra l’altro per la bufera che si scatenò su di lui per i 3 volumi di “Ministronza”, raccolte di strisce satiriche liberamente ispirate all’onorevole Giorgia Meloni. Alle prese con l’affascinante storia di Alexandre Campos Ramírez, in arte Alejandro Finisterre, antifascista e esule, inventore (o no?) del biliardino e poi editore, l’autore catanese di nascita e romano d’adozione affronta oggi il suo primo romanzo a fumetti. Trecento pagine in bicromia che attraversano la storia del 21esimo secolo, nelle quali l’autore racconta con l’ironia che lo contraddistingue, ma anche con accurata precisione storica, la vicenda di Finisterre e di quello che forse è il gioco da tavolo più famoso del mondo.

Abbiamo incontrato l’autore a Mantova, lo scorso 10 di settembre, giusto prima della prima presentazione assoluta del libro.

Alessio, come sei venuto a contatto con la storia di Alexandre Campos Ramírez, meglio noto come Alejandro Finisterre?

Come un qualsiasi utente di internet: nel 2007 ho letto su vari giornali la notizia della morte di Alejandro Finisterre, personaggio quasi completamente sconosciuto, se non in Galizia, dove è nato e dove è riuscito a tornare dopo la morte di Franco. Si tratta di un personaggio molto affascinante, un antifascista esule in vari paesi europei nel periodo compreso tra la Guerra civile spagnola e la Seconda guerra mondiale, ed in seguito in America Latina, dove in Guatemala verrà perseguitato dalla polizia franchista. Laggiù riuscì ad aprire una fabbrica di giocattoli con la sorella che lo aveva raggiunto, ma non appena ci fu il colpo di stato del 1954 l’ambasciata spagnola chiuse i battenti e si ritrovò con i segugi franchisti alle calcagna. Da imprenditore di successo improvvisamente non era più persona gradita. Tutti questi spostamenti e cambiamenti di rotta e talvolta di identità mi hanno incuriosito molto. Ci sono parti della sua vita che rimangono tutt’oggi oscure, anche perché non è arrivato a pubblicare un’autobiografia ufficiale.

Anche quella è coperta da segreto di stato come il manoscritto dell’eredità?

No, in realtà il manoscritto dell’autobiografia è in mano a un agente letterario, mentre la questione dell’eredità è più complessa: la moglie nel 2008, essendo stata nominata erede universale, volle leggere l’originale, ma una volta arrivata dal notaio, questi non poté soddisfare la sua richiesta.

È possibile che sia dovuto ai numerosi diritti letterari che Finisterre possedeva come editore e come depositario della produzione letteraria ma anche come esecutore testamentario di León Felipe e Juan Larrea, poeti dell’esilio, facenti parte di quel nutrito gruppo di intellettuali rifugiatosi in Sudamerica con la guerra e l’avvento del franchismo. Il segreto di stato è probabilmente legato alle sue relazioni con i governi come quello messicano, che lo ha accolto da esule, o con i partiti spagnoli antifascisti. Ma sono solo supposizioni.

Scoprire certe parti poco chiare della vita di Finisterre ha fatto sì che tu cambiassi opinione sul personaggio?

No, assolutamente. La mia posizione, a parte il fascino che ha esercitato la sua vicenda su di me, è sempre rimasta piuttosto distaccata. Pensiamo che Finisterre solo a livello politico ha avuto contatti, in Spagna, con partiti che poi sono risultati rivali tra loro, ha avuto rapporti con gli anarchici e poi con attivisti e miliziani del POUM. Per quanto mi riguarda, credo che fosse un antifascista molto scaltro e molto abile nel trovare sotterfugi risolutivi in situazioni difficili. Verso la fine del libro, per esempio nella conversazione tra Ramón Chao-che ho intervistato-e il figlio musicista Manu Chao, ho raccolto le voci dei suoi detrattori e perplessità varie raccolte sul campo. Ho tentato di riassemblare un puzzle che sarà sempre e comunque incompiuto. Proprio per questo non mi permetto di avere un giudizio sulla figura di Finisterre.

La tua produzione a fumetti è legata a vignette e storie brevi, ma la ricchissima vicenda umana di Finisterre ti avrà obbligato alla forma estesa. Come ti sei sentito in questo genere nuovo per te?

Ho fatto sinceramente molta fatica. È il primo romanzo da autore unico. Ho lavorato in precedenza a “Zona del silenzio”, sul caso Aldrovandi, molto più breve e scritto da Checchino Antonini. Riprendere dopo tanto tempo a usare la forma espressiva del racconto a fumetti è stato un piacere, e mi auguro che questo tipo di lavoro duri a lungo. L’impegno e la fatica spesi su “Biliardino” sono direttamente proporzionale alla soddisfazione e al piacere che sento adesso vedendolo stampato, con una resa grafica veramente perfetta.

La vita di Finisterre attraversa un contesto storico complesso e delicato e la storia che racconti si snoda tra il 1936 e il 2007 con dei focus specifici sulle guerre. Quali fonti hai usato per documentarti?

Poco prima della fine della stesura della sceneggiatura, quindi nel 2013, quando ho ripreso i disegni dall’inizio, sono andato in Spagna per cercare le persone che avevo già contattato per telefono. Pep Moll e Joan Pons, autori di un documentario sul biliardino, il futbolín, avevano intervistato Finisterre nel 2004 e disponevano di molto girato, interviste che ho fatto sbobinare e tradurre. Mi hanno consigliato biblioteche e fornito parecchio materiale cartaceo. A Barcellona ho trovato l’unica biografia di Finisterre, pubblicata dalla sua casa editrice in Sudamerica. La scrisse alla fine degli anni ’70, poco prima di rientrare in Spagna, dove comunque ne esistono pochissime copie. È stata una lettura fondamentale per rimettere a posto tutte le informazioni che avevo bisogno di incasellare, un libro prezioso ed eterogeneo, in cui l’editore-inventore aveva raccolto tutti i ritagli di giornale che lo riguardavano, le storie del suo periodo guatemalteco, le foto dei giocattoli costruiti, tra cui additrittura quelle di un curioso gioco analogo al biliardino, un bizzarro basket da tavolo. Ho trovato notizie di Finisterre anche in un’autobiografia di Pablo Neruda. L’aspetto affascinante di questo lavoro è stato proprio tentare di colmare le lacune nella vita rocambolesca di Finisterre.

Nel libro ci sono miriadi di cammei illustri, principalmente intellettuali e artisti con i quali Finisterre venne a contatto. Quanto è storia, e quanto invece hai rimaneggiato?

Finisterre ha effettivamente incontrato i personaggi che appaiono nel libro, ma chiaramente i dialoghi sono di mia invenzione; nel caso del testo di Orwell, per esempio, ho usato un estratto di Omaggio alla Catalogna, ma non so se davvero l’abbia pronunciato alla radio della BBC, e non so se il diverbio a cena tra Albert Camus e Jean Paul Sartre sia realmente mai avvenuto. Mi sono permesso di introdurlo perché un po’ mi è mancata la satira in questo libro, e così mi sono divertito a fare caricature.

Però hai scelto di non dise­gnare il sommo car­ne­fice della Guerra civile, il gene­rale Fran­ci­sco Franco. Perché?

Franco è diven­tato un sim­bolo, come nelle due stampe di Picasso. Nel libro ci sono molti altri car­ne­fici, ma ho scelto di non dise­gnare lui con fat­tezze umane per­ché quello che ho visto da altre parti, quando altri autori hanno descritto il periodo nazi­sta. Miya­zaki in “Porco Rosso” storpia i colori del regime e li fa diventare viola e verde; in “Berlin”, lo statunitense John Lutes non rap­pre­senta mai la sva­stica. Mi sono ispi­rato a que­sti esempi per tra­smet­tere una sorta di repul­sione che ho verso que­sti personaggi.

Tu sei un grande caricaturista. Come lavori, enfatizzando quelli che sono i luoghi comuni su questi grandi personaggi o piuttosto scardinando l’immaginario del lettore?

Se il lettore si aspetta che io racconti come voglio, allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Rispetto ai personaggi in linea di massima mi sono divertito a smitizzare, questo non vuol dire che non nutra un rispetto eterno verso per esempio Ernesto Guevara. Non essendo degli eroi perfetti, ma esseri umani, mi son permesso di fare un po’ di ironia. Spesso mi sono sentito dire che storpio troppo gli aspetti fisici di certi personaggi, forse è perché quest’operazione è sempre proporzionale alla simpatia ideologica che ho per il personaggio stesso, quindi con quelli che mi stanno un po’ più antipatici mi diverto di più.

A proposito dell’ironia, è un antidoto al dramma della realtà o non c’è realtà senza ironia, e quindi ti limiti a coglierla?

L’ironia è necessaria sempre, nella vita, come in un libro del genere. Con una storia come questa avrei anche potuto limitarmi una narrazione più fredda e calcolata. E invece ho cercato di infondere alla storia emozioni non solo positive; nei racconti come nella vita l’ironia si mischia sempre alla disperazione.

Verrebbe da pensare che la storia del biliardino e delle sue origini contese tra più paesi diventi un simbolo per tutta la vicenda umana di Finisterre, che perde la patria, vive da esule quasi tutta la vita, ed è costretto a reinventarsi fino all’ultimo. È così?

Certo. Finisterre non può essere definito l’inventore del biliardino e questo mi ha aiutato a pensarlo e interpretarlo come il papà del gioco: l’ha creato a modo suo, anche se esistevano già esperimenti precedenti; l’ha adattato, l’ha curato come un figlio, migliorandolo, e infine si è sentito abbandonato. Mi servono appigli al reale e nonostante il mistero che avvolge la storia di Finisterre, ho provato a pensarlo come un padre e come un uomo che fino a 87 anni si è dovuto reinventare non solo professionalmente, ma anche legalmente, creandosi nuove identità. Ma non ha avuto figli, il che mi fa pensare che nell’ultima parte della sua vita volesse davvero mettere nero su bianco la sua complessa vicenda.

La presenza dell’Alessio bambino che giochi a biliardino al paese natale in Sicilia mi fa pensare che anche la memoria abbia un ruolo importante per te. È così?

Certo, per me la memoria è importantissima, visto che sono un completo smemorato e mi dimentico sempre tutto. Dal punto di vista storico è fondamentale: il passato di ogni paese e di ogni persona è l’anticipazione del futuro e serve come lettura per poter imparare. La memoria è fondamentale per chiunque non voglia suicidarsi tra cinque minuti e voglia continuare a vivere e imparare da quello che lo circonda deve per forza far riferimento al passato collettivo e individuale. Mi sto accorgendo che mi sento diverso rispetto ai ragazzi di oggi quando vedo che affrontano annoiati parole come fascismo, comunismo e liberismo e non si interessano di conoscerne i significati. Questo mi spaventa molto.

Biliardino è secondo te un romanzo storico, una biografia, o una spy story?

Bella domanda. Penso di aver scritto sostanzialmente tre biografie parallele: quella di Alejandro Finisterre, quella del gioco del biliardino e quella dello stesso ventesimo secolo. Una tripla biografia storica.

Un dettaglio tecnico: il libro è stampato in bicromia rossa/azzurra perché il nero è colore politicamente non gradito?

Infatti non è nero; o meglio è ottenuto dalla sovrapposizione al 100% di rosso e blu. Ho lavorato su tavole a4 in bianco e nero, poi le ho scansionate e ho aggiunto o sostituito percentuali di colori. La scelta dei colori, legata ovviamente a quelli dei giocatori del biliardino, dovrebbe richiamare vagamente quelli delle fazioni politiche legati alla lotta antifascista, e dall’altra parte le camice blu della división azul franchista. Avevo la consapevolezza che i colori su carta si spengono un po’ rispetto al digitale, quindi li ho smorzati subito. Ho sfogliato il libro proprio mezz’ora fa per la prima volta; debbo dire che la carta porosa assorbe molto bene e quest’effetto delle campiture piatte un po’ polveroso, mi piace molto.

Il libro, in uscita il 24 settembre per Bao Publishing, è un romanzo denso e altamente godibile, ricco di presenze illustri e di aneddoti curiosi per soddisfare «la scarsa conoscenza delle cose che stanno fuori dalla nostra realtà immediata, e abbattere quel provincialismo che ho scoperto nell’analizzare le origini di questo gioco di cui ogni paese reclamava la paternità, e che si traduce spesso in timore per le cose che non conosciamo. »