si consumavano le ultime battute che scandivano la fine, anche formale, dell’Unione sovietica. Le tappe conclusive di quello che sarebbe stato presto riconosciuto come un dramma non solo per l’entità sorta settant’anni prima, ma per i rapporti di forza tra mondo del lavoro e capitale, a livello mondiale, si erano dipanate per quasi tutto il 1991.

Ciò, a dispetto del referendum che nel marzo di quell’anno aveva visto oltre i due terzi dei votanti esprimersi per il mantenimento dell’Unione, pur come federazione di repubbliche indipendenti. Il tentativo, in agosto, di arginare la deriva, si svolse in forme peggiori del male e comunque ormai troppo ammanigliate erano le forze, esterne e interne, che lavoravano alla disgregazione dell’Urss. Così, il 24 agosto Mikhail Gorbacëv si dimetteva da Segretario del Pcus e scioglieva il Comitato centrale. Si arrivava poi alla notte del 8 dicembre, allorché i capi di Russia, Ucraina, e Bielorussia – Eltsin, Kravchuk e Shushkevic – si riunivano nella foresta di Belovezh (in «una notte di sbornie e libagioni», dissero i maligni) e dichiaravano dissolta l’Unione sovietica.

Il resto fu solo cerimoniale: le ben drammatizzate dimissioni di Gorbacëv da presidente dell’Urss, il passaggio di poteri a Boris Eltsin, quale presidente della Russia e il convenuto scioglimento dell’Unione, con la bandiera rossa ammainata il 25 dicembre dal tetto del Soviet supremo al Cremlino. Così, tra viaggi all’estero di «uno con cui si può trattare» (come disse Margaret Thatcher nel 1984, secondo i documenti britannici desecretati in questi giorni) e sbornie degli altri, il primo paese socialista non esisteva più. Oggi, l’atteggiamento dei russi conferma i dati del referendum del ’91 e del resto, da subito, i russi hanno sempre detto di rimpiangere due aspetti: sicurezze sociali e ruolo da protagonista del paese.

Delle prime è rimasto poco o nulla, come ha evidenziato anche il leader del Pc Ghennadij Zjuganov, lamentando l’assenza, negli ultimi interventi di Putin di ogni riferimento in tal senso. Quanto al ruolo da protagonista che Vladimir Vladimirovic sta assicurando al paese, la popolarità che il Presidente continua a mantenere (81% secondo i sondaggi del 29 dicembre) sembrerebbe dimostrare che i russi non abbiano nulla da rimpiangere. Secondo il Centro Levada, il 30% dei russi incolpa della fine dell’Unione sovietica il «complotto irresponsabile di Belovezh», accanto ad altri (28%) che accusano «forze nemiche esterne». Un 19% vede la causa della dissoluzione dell’Urss nell’insoddisfazione della gente per la dirigenza dell’Urss: Gorbacëv e la sua cerchia. Il 54% è dispiaciuto per la fine dell’Urss: pur se la punta massima (75%) si era avuta nel 2000, appena due anni fa la percentuale era del 49%.

E, tra gli amareggiati, il 56% dice di esserlo per la «perdita del senso di appartenenza a una grande potenza»; il 55% per la «frantumazione di un sistema unico di economia» e il 41% per la «crescita della sfiducia reciproca». In ogni caso, è tornato a salire (55%) il numero di coloro che pensano si sarebbe potuta evitare la fine dell’Urss, tanto che il 61% disapprova il complotto dei tre Presidenti del 8 dicembre 1991. Parallelamente, il Centro panrusso di indagini sociologiche, rileva che l’atteggiamento del 39% dei russi verso gli Usa è «in generale non buono», mentre «del tutto negativo» lo è per il 27%; così che il 49% degli intervistati considera «tesi» i rapporti tra Usa e Russia, contro il 21% che li giudica «freddi» e il 20% «ostili». Alla domanda se sia verosimile un ritorno alla guerra fredda, il 28% lo giudica «poco verosimile»; ma il 26% risponde «del tutto verosimile», il 25% ritiene che «tale guerra sia già in corso» e il 23% ne incolpa America e Europa.

Lo stesso Centro sociologico indica che, pur se il 65% considera tuttora legittima l’allora presidenza di Eltsin (1992-1999), il 59% pensa che essa abbia portato solo frutti negativi alla Russia e il 73% considera giuste le sue dimissioni anticipate. Solo il 33% degli intervistati ritiene che Eltsin abbia agito per il bene della maggioranza e il 20% dichiara che egli fu guidato dagli interessi di un piccolo gruppo di cittadini. Nel 62% dei russi la sua personalità suscita piuttosto antipatia.