Dopo aver ascoltato fiumi di parole e consultato alcuni chili di scartoffie accumulate sia dall’accusa che dalla difesa di Silvio Berlusconi, oggi a mezzogiorno i cinque giudici della Cassazione si rinchiudono in camera di consiglio per prendere una decisione che non si esaurirà certo nell’aula di un tribunale. Anche se ormai è chiaro che qualunque sia la decisione della Corte Suprema, il primo agosto 2013 non passerà alla storia come il giorno in cui è stato archiviato il ventennio berlusconiano che ha sconvolto le coordinate della politica italiana, con il Pd che nel momento più difficile per il Cavaliere si ritrova al governo proprio col suo ex avversario. Niente fotografa con più evidenza il tragico errore di aver creduto negli anni che ci si potesse liberare di Berlusconi dando battaglia in un’aula di tribunale.

La seconda estenuante giornata di attesa dentro e fuori dal Palazzaccio, con i politici che puntellano il governo Letta che non perdono occasione per assicurare che comunque vada a finire la vita della legislatura sarà lunga, è trascorsa senza scosse origliando le arringhe degli avvocati difensori. A questo punto, c’è almeno una certezza. La sentenza del processo Mediaset che vede imputato Silvio Berlusconi (condannato in appello a 4 anni di detenzione per frode fiscale ed a 5 di interdizione dai pubblici uffici) dovrebbe arrivare domani nel tardo pomeriggio.

Prima l’avvocato Niccolò Ghedini, poi l’avvocato Franco Coppi, ieri hanno cercato smontare la requisitoria del sostituto procuratore Antonello Mura che martedì aveva definito Berlusconi “ideatore del meccanismo delle frodi fiscali” chiedendo ai giudici della Cassazione di rigettare il ricorso degli avvocati di Berlusconi; confermando quindi la condanna, ma suggerendo uno sconto relativo agli anni di interdizione dai pubblici uffici (da 5 a 3), dettaglio non di poco conto perché di fatto, anche se confermati dalla sentenza, quei due anni in meno permetterebbero a Silvio Berlusconi di ricandidarsi qualora il governo dovesse durare per tutta la legislatura.

Ghedini anche ieri ha confermato la sua vocazione di azzeccarbugli con un arringa molto tecnica che si è addentrata nel merito dei 47 rilievi da lui sollevati per demolire la sentenza del tribunale di Milano. Un paio d’ore di ricostruzione per arrivare a dire che non ci sono prove del fatto che il suo assistito abbia partecipato al reato di frode fiscale: “Manca nella sentenza un elemento probatorio che Berlusconi possa aver partecipato al reato proprio”.

Franco Coppi, invece, per arrivare alle stesse conclusioni si è ritagliato un ruolo in qualche modo più politico, volando alto nella sua lezione di diritto ricca di citazioni: “Chiedo che la sentenza venga annullata perché il fatto così come prospettato in mancanza di una violazione di una specifica norma antielusiva non è reato, è penalmente irrilevante”. Poi, anche un principe del foro ha il diritto di esprimersi come al bar, argomentando l’incredibile per chiunque, tranne per chi – milioni di persone – continua a dare fiducia al Cavaliere: “Berlusconi, come tutti sanno, dal 1994 si dedica interamente alla politica e non si occupa più di gestione societaria. Figuriamoci se metteva bocca nelle quote di ammortamento del 2002/2003 quando ormai da dieci anni aveva accantonato queste preoccupazioni, se mai si fosse occupato di cose del genere!”. Quindi, contrariamente alla tesi della Procura della Cassazione, “Berlusconi non era il dominus di nessuna catena truffaldina”.

Oggi, finalmente, tutti sapranno da chi si sono fatti “convincere” i cinque giudici della Corte Suprema. Nel frattempo, per ingannare l’attesa, tutti, in particolare il Pd che continua a tacere, si esercitano ad immaginare gli scenari futuri. Sono cinque. Uno: l’assoluzione piena. Due: la conferma della condanna. Tre: l’accoglimento di qualche rilievo della difesa ed il conseguente rinvio ad un altro processo alla Corte d’Appello (e in questo caso non ci sarebbero i tempi per evitare la prescrizione del reato). Quattro: nel merito della riduzione dell’interdizione dai pubblici uffici da 5 a 3 anni, la Cassazione potrebbe stabilirlo già oggi (e quindi l’interdizione scatterebbe dopo il via libera del parlamento, nel qual caso Berlusconi si potrebbe ricandidare dopo il 2016). Cinque: se invece la Cassazione dovesse decidere che tocca al Tribunale di Milano rimodulare l’interdizione, allora i tempi si allungherebbero e Berlusconi nel frattempo potrebbe continuare ad essere parlamentare.