Brividi di carta nell’afa milanese. Dopo l’apertura della mostra a Palazzo Reale su sir Alfred Hitchcock, ora è il turno del museo Fermo Immagine di via Gluck con la mostra Vampiri, Zombi e Lupi Mannari, dedicata ai tre indiscussi padroni dell’horror cinematografico e allestita in collaborazione con l’Associazione Ordine del Drago, che da anni si occupa di studiare e approfondire il mito di Dracula, e con Bloodbuster, negozio e casa editrice milanese diventato un punto di riferimento per gli appassionati del genere horror in Italia.

Con oltre 150 manifesti cinematografici e una serie sterminata di gadget, fumetti, teste di silicone e memorabilia, l’esposizione di sangue, peli e canini, fino al 30 ottobre per poi concludersi con una festa finale proprio la sera di Halloween, non poteva che cominciare il suo percorso con una parete tappezzata di immagini e sinistre ragnatele che introducono nel regno del vampiro dal nero mantello Dracula. [do action=”citazione”]Mitologia vampiresca condensata in pochi metri quadrati che, in speciali teche, espongono e istruiscono all’autodifesa con aglio e martello, invitando alla rilettura del romanzo di Bram Stoker, considerato la quintessenza della letteratura gotica in grado di metaforizzare alla perfezione, come sostiene Susan Sellers, lo stato d’ansia e di terrore dell’epoca vittoriana.[/do]

Numerosissime edizione del romanzo, cronologicamente esposte, annunciano l’arrivo dell’incarnazione filmica, a partire dal Nosferatu di Murnau e dall’inarrivabile Bela Lugosi diretto dal Todd Browning. Dai fasti dei film della Universal degli anni ’30 si passa alla serie, quasi dieci titoli dal 1958 al 1973, del pallido e seducente Dracula della Hammer incarnato da Christopher Lee mentre un ampio spazio è dedicato al filone italiano, inaugurato nel 1958 con I vampiri di Riccardo Freda per poi proseguire con titoli come Maciste contro il vampiro di Sergio Corbucci, La cripta e l’incubo di Camillo Mastrocinque fino allo splendido e dimenticato …hanno cambiato faccia di Corrado Farina, rilettura sarcastica e contemporanea del mito di Dracula dove Adolfo Celi, ingegnere dal sinistro nome Giovanni Nosferatu, succhia linfa alla società con le armi del consumismo e del controllo religioso. Proprio il film di Farina del 1971 inaugura quel decennio di attualizzazione vampiresca che regalerà un gioiello come Dracula cerca sangue di vergine…e morì di sete!!! di Andy Warhol ma anche molti tentativi di moderna vampirizzazione, quasi sempre ridicoli, come I satanici riti di Dracula di Alan Gibson dove il conte viene coinvolto in misteriosi riti hippie e lisergici.

Il Nosferatu girato da Werner Herzog del 1979, con la sua carica espressionista e un indimenticabile Klaus Kinski, sembra riportare all’iconografia classica di bara e mantello ma gli anni ’80, e per buona parte dei ’90, vedranno invece il trionfo del vampiro pop, esistenzialista e moderno, come testimoniano le locandine di Miriam si sveglia a mezzanotte (con una sensuale Catherine Deneuve appaiata a un come non mai tenebroso David Bowie) di Tony Scott e Vamp con una statuaria Grace Jones, ma nello spazio di qualche fotobusta si balza di nuovo alla classicità fiammeggiante del Dracula di Coppola e del sontuoso Intervista col vampiro fino al filone contemporaneo, romantico ed emaciato di Twilight, la saga che fa riacquistare appeal ai vampiri presso un pubblico composto da teen-ager.

Nemmeno il tempo di una trasfusione ed ecco che gli zombi di Victor Halperin e Jacques Tourneur svettano nel mare delle produzione a basso costo fra gli anni ’30 e i ’60, caratterizzate da zombi abitanti in fatiscenti castelli e isole dei mari del Sud e da un prolifico filone pornografico, fino all’arrivo del capostipe moderno George A. Romero e della sua cosiddetta «Trilogia dei morti viventi». Anche qui, oltre al corredo di mitra e proiettili per uccidere il morto vivente, uno sguardo particolare alla produzione italiana, legata principalmente a film di Lucio Fulci come Incubo sulla città contaminata e al Dylan Dog di Dellamorte Dellamore.

Gli ululati dei licantropi concludono la mostra con la carica squisitamente sensuale, peculiarità cinematografica altrove assente, di lupi del calibro di Oliver Reed in L’implacabile condanna, vertice della produzione Hammer sull’argomento, e di Jack Nicholson in Wolf. La belva è fuori senza dimenticare Il lupo mannaro americano a Londra di John Landis, dove metamorfosi, per il giovane protagonista, fa rima con erezione. Trucchi per difendersi? La più efficace pare sia l’argento, preferibilmente in forma di crocifisso ma, se sprovvisti, ci si può tranquillamente rinchiudere nella bara, vera e foderata di rosso, gentilmente fornita dalla Ganzerli Onoranze Funebri di Milano.