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Fillmore East, la chiesa del rock

Fillmore East, la chiesa del rockFillmore East

Miti/Cinquant’anni fa chiudeva il celebre locale di New York, ecco i palcoscenici che hanno fatto la storia della musica pop Era uno dei gioielli del promoter Bill Graham. In attività per soli tre anni, ospiterà performance mozzafiato di Hendrix e Who. Occhio anche al Max's Kansas City e al CBGB di Manhattan, al Whisky a Go Go di San Francisco, all'Hammersmith di Londra, al Budokan di Tokyo

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 9 ottobre 2021

La forza del rock è di essere se stesso al di fuori di ogni contesto. Non importa dove si ascolta una concerto, ciò che conta è come e cosa gli artisti propongono. Chi scrive, tra le performance indimenticabili, annovera l’esibizione della Elliot Murphy Band nel retro di una pizzeria, Neil Young con metà Pearl Jam nel mezzo del nulla di un paesino del Canton Vallese in Svizzera e i Clash del periodo Cut the Crap in un palazzetto dello sport a Genova con un’acustica al limite del linciaggio (degli organizzatori). Non è il luogo ma la musica che vale. Detto questo, è vero anche il discorso inverso: l’estetica rock ha saputo dare valore e rendere mitici alcuni locali ormai assurti allo status di veri e propri templi della musica.

SETTE ORE
Partiamo da quello che, restando in metafora, può essere definito il Partenone del rock (è anche noto come The Church of Rock and Roll): il Fillmore East (e il suo omologo, il West, a San Francisco) di Bill Graham, situato tra la Seconda Avenue e la Sesta Strada a New York. Il locale durò solo tre anni, dal 1968 al 27 giugno 1971. L’estate di 50 anni fa chiuse per sempre i battenti con una performance interminabile della Allman Brothers Band, conclusasi solo all’alba del giorno successivo. «Suonammo per oltre sette ore – ricordò in un’intervista il batterista Butch Trucks – con tutto il materiale che avevamo. Solo la Mountain Jam durò due ore filate, senza interruzioni. Quando finimmo non ci fu nessun applauso, quasi tutti erano andati via e il sole cominciava a filtrare dalle finestre». Graham aveva pensato il Fillmore come un locale dove ascoltare la musica migliore a prezzi contenuti, nel contesto più comodo e spettacolare. I biglietti andavano dai 3,5 ai 6 dollari a seconda del posto. Il venerdì e il sabato si tenevano due concerti a sera: il primo dalle 20 alle 23,30 e il secondo a seguire, fino a quando gli artisti si sentivano di andare avanti. La sala, con platea e galleria, contava 2.600 posti a sedere; il palco era molto grande rispetto agli standard del tempo e soprattutto era dotato di un impianto luci assolutamente all’avanguardia. Tra il 1968 e il ’71 dal punto di vista musicale successe veramente di tutto, e molto successe al Fillmore East. Basti pensare che Graham per l’apertura volle Janis Joplin e i suoi Big Brother and The Holding Company. Altro evento entrato nella leggenda fu il primo concerto americano dei Led Zeppelin, due settimane dopo l’uscita del loro album d’esordio. Page e soci erano di spalla agli Iron Butterfly ma, con uno show breve ciò nondimeno devastante, stabilirono subito una nuova gerarchia. Al Fillmore gli Who presentarono per la prima volta Tommy per intero negli Usa; qui nel capodanno 1969 Jimi Hendrix tenne due dei suoi più celebrati concerti, sia il 31 dicembre che il primo gennaio, poi raccolti negli lp Band of Gypsys e Live at the Fillmore East; qui, durante una performance di Frank Zappa e i suoi Mothers of Inventions, si presentò in sala John Lennon, prontamente invitato sul palco da Zappa per un’improvvisata jam session di oltre mezz’ora; qui Van Morrison fu il primo, nel 1970, a registrare un concerto rock poi trasmesso in televisione. E questi nomi, che farebbero grande ogni locale, al Fillmore East erano solo la punta di un iceberg composto da CSN&Y, Doors, B.B. King, Derek and the Dominos, Pink Floyd, Blood Sweat and Tears, Johnny Winter e Creadence Clearwater Revival (tanto per citarne alcuni). Discorso a parte meritano i Grateful Dead, che potevano a buon diritto considerarsi una resident band per numero e lunghezza delle loro esibizioni sul palcoscenico del Fillmore.

FENOMENO DI MASSA
E poi una sera su un pulmino scassato arrivarono sei ragazzi sconosciuti dalla Georgia. Erano lì per due serate il 12 e 13 marzo 1971 e nessuno più di loro legò il proprio nome al Fillmore East. Nel luglio dello stesso anno parte delle registrazioni dei due concerti di marzo diventa uno dei primi doppi lp dal vivo della storia: esce infatti The Allman Brothers Band at Fillmore East. L’album, che presenta rivisitazioni di classici del blues e canzoni degli stessi Allman Brothers dilatate da numerose e lunghe improvvisazioni in stile jazz, raggiunge il tredicesimo posto nella Billboard chart e si affermò subito come uno dei dischi più importanti mai registrati dal vivo. Come detto, i sei ragazzi sarebbero tornati sul palco poco più di tre mesi dopo, questa volta per celebrare il canto del cigno del Fillmore. In tre anni era successo di tutto ed era pure cambiato tutto: il rock era diventato un fenomeno di massa e i locali stavano per essere sostituiti dalle arene e poi dagli stadi. Di lì a poco i Led Zeppelin avrebbero fatto un record allo Shea Stadium con oltre 60mila spettatori. La prospettiva di maggior pubblico e maggiori incassi faceva lievitare anche i cachet degli artisti, cresciuti a un livello insostenibile per un locale di neanche 3 mila persone.
«Bill si arrabbiò moltissimo con i gruppi che chiedevano sempre di più e che lui non riusciva più a scritturare», ha scritto Amelie Rotschild, fotografa ufficiale del Fillmore nella prefazione di un bellissimo libro per immagini (Live at Fillmore East. A Photographic Memoir). «Avrebbe dovuto aumentare il prezzo del biglietto, ma non sarebbe bastato. Forse il Fillmore poteva vivere ancora un paio d’anni, ma i grandi non sarebbero più venuti e la qualità sarebbe scesa. Preferì chiudere al top, con una scelta impulsiva, di cui qualche volta si pentì».

MADE IN JAPAN
Un altro locale entrato ormai in pianta stabile nell’immaginario collettivo di migliaia di appassionati di musica è il Nippon Budokan, o semplicemente Budokan, un palazzetto multifunzionale situato in un parco nella zona centrale di Tokyo. Costruito nel 1964 per ospitare il primo torneo olimpico di judo, il Budokan è diventato negli anni un luogo speciale non solo per i campioni di arti marziali ma anche per le star della musica internazionale che si sono esibite sotto il suo tetto, che nella forma vuole evocare le pendici del monte Fuji. Anche se gli spalti erano vuoti quando ha ospitato le gare di judo e il debutto olimpico del karate nei secondi Giochi Olimpici di Tokyo da poco conclusi, il Budokan rimane un luogo mitico, molto più di una sala per le arti marziali (la traduzione letterale del suo nome). Il palazzetto è sicuramente il santuario dello spirito sportivo giapponese, ma nei suoi quasi sessant’anni di vita è diventato anche un tempio della musica dal vivo. Le più grandi star del rock e del pop si sono esibite qui. Dai Beatles, il primo gruppo occidentale a suonarci nel 1966, agli Abba che nel marzo del 1980 si presentarono qui per l’ultima volta insieme, sul palco dell’arena giapponese sono saliti molti grandi della musica, da Bob Dylan a Frank Sinatra, dai Led Zeppelin ai Queen, da Ozzy Osbourne ai Blur. Attirati dal calore del pubblico locale e soprattutto dalla qualità degli apparecchi di registrazione molti artisti vi hanno anche inciso memorabili album dal vivo. Live at Budokan è infatti un titolo piuttosto diffuso, che compare nella discografia di Avril Lavigne, Toto, Chic, Red Hot Chili Peppers, Dream Theater, Cheap Trick, Mr. Big, Judas Priest e tanti altri. Al Budokan sono state incise quattro delle dieci canzoni che compongono il mitico Made in Japan dei Deep Purple. Eric Clapton qui ha registrato quello che la critica giudica come il suo miglior album dal vivo, Just One Night (titolo un po’ imbroglione perché l’album fu ricavato dalle registrazioni di due serate consecutive, il 3 e 4 dicembre 1979). E John Hiatt ci ha pure scherzato sulla tendenza di molti colleghi a registrare dischi dal vivo al Budokan: il suo primo live infatti si intitola Hiatt Comes Alive at Budokan? ma in realtà è stato registrato tutto negli Stati Uniti.

UN POSTO DI RIGUARDO
Tornando negli Usa, nel novero dei locali che hanno fatto la storia del rock un posto di riguardo spetta al Max’s Kansas City di New York. Il club venne aperto da Mickey Ruskin nel dicembre 1965 e in poco tempo divenne il punto di riferimento di musicisti, artisti e poeti. Non si conosce bene l’origine del nome, l’unica certezza è che sia stato il poeta Joel Oppenheimer a suggerirlo a Ruskin. Pare che Oppenheimer da ragazzo avesse notato come, in ogni steak house, comparisse quasi sempre nel menu il termine Kansas City, il nome di un tipo di lombo molto usato in cucina. La cosa gli era rimasta impressa, così propose che l’appellativo del locale dovesse contenere le parole Kansas City. Max venne invece scelto perché somigliante a un nome da ristorante. Sia come sia, anche al Max’s la lista degli artisti saliti sul palco è impressionante. I Velvet Underground vi suonarono gli ultimi concerti con Lou Reed nell’estate del 1970. Fu inoltre la base per la seppur breve scena glitter rock negli Usa, che incluse artisti come Iggy Pop e lo stesso Lou Reed. È stato il locale in cui hanno iniziato la carriera molte formazioni. Bruce Springsteen vi ha prima suonato da solo un set acustico nell’estate 1972 per poi debuttare con la E Street Band. Al Max’s si esibirono anche Patti Smith, i New York Dolls e i Ramones; Sid Vicious dopo lo scioglimento dei Sex Pistols suonò nel locale di Ruskin. Il Max’s Kansas City chiuse i battenti nel novembre 1981 (attualmente, ironia della sorte, è sede di una gastronomia) ma il declino iniziò proprio negli anni del punk, quando un nuovo club segnò la storia della musica: il Cbgb & Omfug. Letteralmente acronimo di Country Blue Grass Blues and Other Music for Uplifting Gourmandizers, il locale fu aperto il 10 dicembre 1973 da Hilly Kristal. L’obiettivo iniziale, come il nome ben rappresenta, era che il locale fosse un luogo di ritrovo per gli amanti della musica country, blues e bluegrass, ma divenne famoso con l’avvento della musica punk, diventandone il fulcro della scena newyorkese. Il club cominciò a ottenere una certa visibilità quando iniziarono a suonare dal vivo i Television e poi i Ramones, che qui si esibirono per la prima volta nel marzo del 1974. Il Cbgb era molto in linea con l’estetica punk, come ricorda Alan Parker nel booklet di un cd dei Ramones: «Per quelli che non hanno mai visitato il posto, pensate al bagno di casa vostra ma solo un po’ più grande, coperto di graffiti e con puzza di piscio di cane praticamente ovunque per il fatto che il proprietario Hilly Kristal lasciava i suoi cani liberi di scorrazzare nel locale, una cosa che Joey Ramone trovava spassosa». In poco tempo si alternarono sul piccolissimo palco del Cbgb i Talking Heads, Tuff Darts, MC5, Blondie e moltissimi altri esponenti della scena musicale dell’epoca.
Il locale negli anni ha continuato ad offrire una programmazione punk, ma Hilly Kristal fu costretto a chiuderlo in seguito a una lunga controversia legale con i proprietari dell’immobile. Era il 30 Settembre 2006. «Ho preso tutto, i banconi, il palco, i cessi dove Joey Ramone ha fatto la pipì insieme a me. Ho preso tutto ciò che ha fatto di questo posto il Cbgb!», disse Krystal con la promessa di riaprire a Las Vegas nel 2008, ma non fece in tempo perché morì il 28 agosto 2007.
Sull’altra costa degli Stati Uniti tra i locali che sono entrati nella storia del rock è impossibile non menzionare il Whisky a Go Go, situato all’8901 di Sunset Boulevard a Los Angeles. Aperto l’11 gennaio 1964 in un’ex centrale della polizia, riprese l’immagine della prima discoteca aperta a Parigi nel 1947, frequentata da marinai americani che trapiantarono l’idea in California. Anche qui si sono esibiti tante stelle del rock (Aerosmith, Byrds, Alice Cooper, Doors, Toto, Hendrix, Black Sabbath, Who, Led Zeppelin, Oasis, Elvis Costello, Nirvana, Guns N’ Roses) e ha ospitato anche artisti italiani (Pfm, Caparezza, Ligabue). Il club gode di buona salute e ancora oggi è possibile assistere a concerti dal vivo. Vari album intitolati Live at the Whisky sono stati registrati nel locale californiano da gente del calibro di Alice Cooper, Kansas, X, Germs e Humble Pie.

MADE IN EUROPE
Dall’altra parte dell’Atlantico, a Londra, una menzione speciale spetta di diritto all’Hammersmith Palais, non fosse altro perché i Clash gli hanno dedicato un brano (White Man in Hammersmith Palais) composto da Joe Strummer (e Mick Jones) dopo aver assistito a un concerto di musica reggae.
Nato nel 1919 come prima sala da ballo aperta in Inghilterra (il nome per esteso è Hammersmith Palais de Danse) nei quasi novant’anni di storia il locale si è reinventato più volte nel corso del tempo, trasformandosi in un jazz club, perfino in una pista di pattinaggio sul ghiaccio per un periodo negli anni Trenta, per poi diventare, dai Settanta, il tempio della musica dal vivo a Londra. All’Hammersmith ha suonato il top della scena musicale inglese: Beatles, Rolling Stones, Bowie, Smiths, Cure, U2. L’ultimo live all’Hammersmith è stato dei Groove Armada il 3 maggio del 2007, poi il Palais de danse è stato chiuso e, nel 2012, demolito. Dove un tempo si sudava pogando, ora si dovrebbe sudare sui libri perché in sua vece è stata eretta una residenza per studenti.
Traversata la Manica, a Parigi il posto giusto per ascoltare il meglio della musica francese e internazionale era il Rose Bonbon. Sito in uno seminterrato sotto l’Olympia, il locale ha brillato per un periodo breve, dal 1978 al 1984, e adesso è diventato un ristorante. Non lasciatevi ingannare dal nome, né dal logo scritto in un corsivo cicciotto e baroccheggiante. Il Rose Bonbon ha attraversato Parigi come una tempesta: nei sei anni di attività oltre 500 gruppi hanno calcato il palco del club di rue de Caumartin. A Berlino il luogo di culto per gli amanti del rock fino al 1989 è stato il Quartier Latin. Aperto nel dopoguerra a Potsdamer Strasse come sala cinematografica in grado di ospitare fino a ottocento persone, il Quartier Latin diventa un club grazie all’iniziativa di un collettivo studentesco. Già dagli anni Settanta è il locale di riferimento per musicisti jazz, folk e rock. Chi c’è stato dice che a prima vista non ci avresti scommesso un soldo: le attrezzature erano scadenti, il palco fatiscente, ma poi diventava tutto potentissimo. Varcavi le porte e già nella hall un sound fortissimo ti colpiva. Gli amplificatori erano disposti in modo da far diventare quasi sordo il pubblico. Il Quartier Latin negli anni Ottanta si specializza nella new wave inglese e fino alla sua chiusura vede passare il meglio di quella scena, dagli Altered Images ai Big Country, dai Depeche Mode degli esordi ai Gang of Four, fino ai Virgin Prunes e ai Killing Joke, ancora oggi ricordati più che per la musica per aver scatenato una epica rissa col pubblico del locale berlinese.

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