Filippo Bettini è stato un intellettuale molto particolare. Dichiaratamente comunista critico (marxista di scuola dellavolpiana) e attentissimo ai movimenti della comunità letteraria ed artistica, il professore di Teoria della letteratura è stato assai di più di un dotto e raffinato esponente della sinistra. Va ricordato a dieci anni dalla scomparsa, non con una compiacente retorica, bensì con rabbia.
Bettini animò una vera e propria lotta di tendenza, interprete della necessità di considerare l’attività culturale non un luogo asettico o neutro, bensì l’area maggiormente attraversata dai conflitti: un corpo a corpo tra potere e conoscenza. La ricerca di nuovi modelli espressivi e l’organizzazione concreta di iniziative volte a rompere stili e canoni omologati rimane un grande lascito, cui riferirsi nel dibattito pubblico.

Basti citare l’esperienza dei Quaderni di critica fondati insieme ai colleghi Francesco Muzzioli, Marcello Carlino, Giorgio Patrizi e Aldo Mastropasqua. Da lì vennero le spinte coraggiose verso una sorta di «terza ondata» delle avanguardie e di quello che si chiamò il «Gruppo ‘93» per distinguersi dal celebrato precedente del ’63. L’avanguardia non è mera sovrastruttura attenta a forme e linguaggi, bensì rappresentazione ed espressione della contraddizione: critica allegorica dell’economia politica, dell’aziendalizzazione delle arti e del feticcio della cosiddetta post-modernità.

Ecco perché a ripensarci viene un moto di rabbia. Quel mondo, così acutamente intravisto e vissuto, forniva letture non subalterne o edulcorate della realtà, cimentandosi con una creatività libera dagli schemi. E quel contesto sembra oggi il ricordo di un passato che non sembra più ripresentarsi, sepolto e rimosso com’è da un pensiero unico oltre che spesso mediocre.

In tale direzione andavano la vasta attività dell’associazione Allegorein con le varie edizioni del Festival Mediterranea, il premio-antipremio letterario Feronia (il successore Mario Quattrucci è, purtroppo, recentemente scomparso), la produzione di libri e testi di assoluta attualità. Oltre ai volumi scritti o curati anche insieme a Roberto Piperno, alla collaborazione costante con Edoardo Sanguineti, in un ampio universo multidisciplinare, va segnalata l’opera monumentale Sotto il cielo di Roma, vale a dire il racconto della città attraverso le poesie e le espressioni letterarie da Licofrone alle neo-avanguardie degli anni ’60. Un tentativo serio di raccontare la storia prendendo a riferimenti i flussi delle emozioni meta-fisiche.

Non tutto è finito. L’amico musicista Fausto Razzi ha proposto una nuova versione –Sogni- di una precedente composizione del 1997 (Smorfie, con testo di Sanguineti). Edita dalla University of Toronto Press è apparsa la prima parte di un’antologia bilingue di poesie e saggi, curata da Luigi Ballerini e Giuseppe Cavatorta. Nel secondo volume (in preparazione) si leggerà un testo di Filippo Bettini su Edoardo Cacciatore, autore anomalo per la sua lontananza dagli schemi dominanti.

La passione verso le esperienze meno coltivate e conosciute ero uno dei tratti di una personalità che esplorava, cercava dove la luce non arriva.
E, poi, non era insolito assistere ad eventi che portavano al successo opere non arate dalla notorietà. Un caso, tra gli altri, fu la rappresentazione di un racconto meno blasonato del famoso Tomaso di Lampedusa, La sirena: su una spiaggia di Ladispoli, con Luca Zingaretti che mise la novella nel suo repertorio.
Sono passati dieci anni, ma la vita – nel frattempo- ha scritto un romanzo, non bello.