Sperimentare, secondo etimologia, equivale a fare esperienza, a cimentarsi con la realtà concreta. Senza affatto voler apparire uno sperimentalista (senza cioè trincerarsi dietro una poetica organica o un rigido apriori), Ezio Bartocci è uno straordinario sperimentatore di materiali, linguaggi, forme. Chi abbia avuto la ventura di frequentare il suo studio invaso dalla luce, nel centro storico di Jesi, conosce la dinamica di un disordine perfettamente organizzato, un coacervo di materie prime (carte, innanzitutto carte, fotografie, plastiche, specchi, stoffe, legni di qualunque tipo e formato) che rimangono in attesa di prendere forma sotto la mano di un maestro la cui grammatica è elementare e infatti si riduce al punto, alla linea, alle figure piane, alla loro stessa capacità di combinarsi pressoché all’infinito.

IL SEGNO di Bartocci, la sua griffe subito riconoscibile, è l’angolo acuto, lo spigolo che muta di colpo un senso rettilineo e lo riorienta in maniera spiazzante, come cambiando la direzione del gioco formale e dunque dello sguardo. L’estrema semplicità della sua arte coincide con la assoluta complessità di risultati in cui, dalla fine degli anni Sessanta, si stratificano (tuttavia smaltendo il peso e l’aggravio di accrediti e citazioni) decenni di lavoro e di prove che indifferentemente alternano grafica, pittura, incisione e ogni tipo di intervento concernente il visivo. Bartocci rifugge dalle dichiarazioni di poetica ma è un convinto modernista (e, per l’appunto, sperimentatore a oltranza), egli è un picassiano silenzioso che riconosce come suo maestro (a partire dal genius loci, Cupramontana, la più classica delle colline marchigiane cui resta legatissimo) quel Luigi Bartolini che fu non soltanto il sommo incisore della indimenticabile sequenza del Martin pescatore ma anche un poligrafo di assoluta originalità, pure se pochi oggi rammentano che scrisse nel ’46 un romanzo intitolato Ladri di biciclette.
Bartocci scrive benissimo ma preferisce dissimulare quella che per lui è una passione nativa per deviarla, se così si può dire, nell’amicizia, nella frequentazione e volentieri nella fattiva collaborazione con gli scrittori: in principio Carlo Antognini, importante figura di critico e di editore che gli pubblicò in cofanetto dall’Astrogallo nel 1976 i Contromanifesti, ludici e insolenti come l’epoca che sintetizzavano, poi il letterato Fabio Ciceroni, il poeta Francesco Scarabicchi, troppo presto perduto, e un limpido narratore quale Claudio Piersanti. (Né va dimenticato il lavoro grafico pluridecennale di Bartocci per la Biblioteca «Planettiana» di Jesi dove l’eleganza dei suoi manifesti si intonava perfettamente ai severi spazi, a firma stavolta di Francesco di Giorgio Martini, del Palazzo della Signoria). Dunque è un approdo persino naturale per lui la mostra Segnalibri. Poeti, scrittori e altri ritratti accolta nella suggestiva cornice di Casa Moretti a Cesenatico, sul porto canale e la sua vasta forestazione di barche e pescherecci.

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OGGI POLO FILOLOGICO, sede di un Centro studi riservato alla italianistica otto-novecentesca e guidato con rigore da Manuela Ricci, Casa Moretti è una classica dimora di media borghesia e dà fisica evidenza alla vita provinciale che fu degli scrittori europei del secolo scorso. Al piano terra, subito dopo l’ingresso si apre la biblioteca dell’autore delle Poesie scritte col lapis (l’ambiente è austero, i mobili scuri provengono dalla abitazione fiorentina di Aldo Palazzeschi che di Marino Moretti fu il maggiore compagno), sugli scaffali i dorsi di classici italiani e di autori francesi un tempo di senso comune, André Gide, il cattolico Mauriac e l’impenetrabile Henry de Montherlant oltre i poeti più amati e su tutti Rimbaud e Verlaine, mentre occhieggiano dalla parete un paio di nature morte (il colpo d’occhio è fantastico) dell’amico Filippo de Pisis.

È LA CORNICE APPROPRIATA alla esposizione di alcune decine di segnalibri che Bartocci negli ultimi anni, fin dal 2016, ha dedicato agli autori della modernità. Essi si richiamano tra loro in sequenza modulare, impaginati per lo più su cartoncino, a tecnica mista, nella forma esatta di quella che i francesi chiamano prière d’insérer. Si va da un grado massimo di stilizzazione (per esempio di Umberto Eco c’è il pince-nez di uomo dotto e di scrittore per scrittori, di Alberto Moravia si rimarca la spigolosità che ben rappresenta l’intelligenza acuminata o infine di Luigi Bartolini ci si limita al nudo profilo) fino ai colori iperrealistici, onirici, che campiscono i ritratti di Albert Camus, di Garcia Marquez e della nostra, mai abbastanza valutata, Grazia Deledda. Sono monadi dentro un universo dove pulsa una quantità di stelle fisse, da Gadda, Calvino, Marguerite Duras a Pasolini, Kafka (stupendo e spettrale), a Louis-Ferdinand Céline (barba lunga da clochard), a Orwell, Samuel Beckett (ieratico nella postura, ligneo) fino a Primo Levi fisso nella sua più terribile localizzazione.
Scrive Annamaria Bernucci in uno dei contributi in catalogo: «Probabilmente la maggiore curiosità che i disegni di Bartocci suscitano consiste proprio nell’aver egli saputo connettere i volti dei letterati che hanno attraversato i due secoli appena trascorsi con l’immaginario visivo sedimentato nella comune memoria collettiva, trasformando i loro ritratti in immagini mentali. E nell’aver saputo creare, in parallelo, relazioni intangibili con i protagonisti della letteratura, capaci di evocare inattese e durature complicità con il lettore».
Così spiccata è l’attitudine di Bartocci ad individuare un carattere, a stenografare un tipo, che davvero sembra naturale la prosecuzione della mostra dalla biblioteca all’ampio spazio dell’antica legnaia, oltre il giardino o broletto della casa: qui sono riuniti i ritratti e ovviamente cambiano le dimensioni ma non può mutare la istantanea riconoscibilità del segno. In questo caso, a parte un Leopardi blue marine di speciale intensità, caratteri e tipi individuali e sociali tendono a combinarsi e vi sfilano, senza nome, il Poeta, il Prete, la Santa, il Truce, il Senatore (appena un tratto di vernice nera su una tavola di legno dolce), l’Ebete, il Re, l’Avaro, il Papa (orgia d’oro e di violenza scarlatta: la data del 1988 rinvia ad un papa autoritario), infine il Mago che rammenta un’altra memorabile serie di Bartocci, quella dei Tarocchi risalente agli anni Novanta.

CIRCA I RITRATTI, Manuela Ricci sottolinea la capacità sul serio prensile di «condensazione» del tratto mentre l’artista, nella memoria che suggella il catalogo, racconta un aneddoto rivelatore, in realtà un apologo sull’arte del ritratto: «L’idea mi è venuta tantissimi anni fa, mentre facevo anticamera in un ufficio di un professionista plurititolato trastullandomi col suo biglietto da visita. I titoli abbreviati e in corsivo Cav. Prof. Ing. Bene in evidenza prima del nome erano elegantemente cancellati da un sottile tratto di penna come per dire: ’Non ci tengo affatto ai titoli, chi mi conosce lo sa. Sono solo Mario Rossi’».
Se l’ironia rimanda sempre alla posizione della debita distanza, al sorriso che ne accompagna ogni gesto immediatamente successivo, allora è proprio l’ironia a schermare, e a proteggere, il segno di Ezio Bartocci.

 

SCHEDA

La mostra di Ezio Bartocci Segnalibri. Poeti, scrittori e altri ritratti, fino al 25 settembre, è ospitata a Cesenatico da Casa Moretti, antica dimora sul porto canale in cui visse larga parte della sua esistenza il poeta Marino Moretti (1885-1979). Il catalogo, edito da Casa Moretti con il contributo del Comune di Cesenatico (pp. 93, s.i.p.), oltre a una memoria autobiografica dell’artista contiene interventi di Matteo Gozzoli, Annamaria Bernucci e Manuela Ricci. Info: casamoretti@comune.cesenatico.fc.it Facebook: casamoretticesenatico – instagram: @museomarinomoretti. Orari: tutti i giorni dalle 16:30 alle 22:30 (ingresso libero).