Sei ragazzini tra i 3 e i 14 anni tolti ai genitori, boss e gregari del clan Elia, saranno affidati a case famiglia fuori regione: è la misura disposta ieri dal Tribunale per i minori di Napoli, che ha imposto anche «il divieto assoluto di rapporti» per «recidere i deleteri legami ambientali che hanno già potenzialmente compromesso lo sviluppo dei minori». A perdere la potestà genitoriale sono gli affiliati del sodalizio che nella zona del Pallonetto di Santa Lucia, tra piazza del Plebiscito e il lungomare, gestivano estorsioni e droga. Il 17 gennaio un’operazione della Dda ha disarticolato il clan con 45 misure cautelari per associazione a delinquere di tipo mafioso. Nell’ordinanza il gip sottolinea la situazione di disagio dei bambini a causa «dell’inadeguatezza delle figure genitoriali: figure che riproducono, in difformità con la funzione educativa che dovrebbero espletare, un sistema di valori delinquenziale e che riproduce, nella sfera familiare, il negativo contesto ambientale in cui il nucleo è inserito».

Lo spaccio avveniva all’interno dei bassi, le abitazioni fronte strada: «All’interno di queste case – si legge – i minori non perseguivano alcuno stimolo formativo, ma imparavano a padroneggiare i modus operandi» degli adulti. Telecamere e intercettazioni raccontano di ragazzini lasciati da soli a gestire l’attività di famiglia: alle tre di notte consegnavano dosi davanti la porta di ingresso, stando attenti a farsi pagare prima di cedere la merce, come da istruzioni materne. La madre non era a casa ma telefonava per verificare che gli affari procedessero bene. I bambini venivano impiegati anche nel confezionamento e nella consegne a domicilio delle dosi ai clienti. Quelli appena più grandi sono già armati a bordo degli scooter, un video li ritrae mentre eseguono una «stesa»: piombano sul gestore di un basso dove si spaccia e sparano all’impazzata per intimidirlo. Si era rifiutato di pagare il pizzo sui guadagni richiesto dal clan.

Gli Elia gestiscono gli affari a conduzione familiare, le donne e i figli sono impiegati nello smercio di droga, che frutta circa 5mila euro al giorno. In particolare, lo spaccio della «piazza delle donne» al civico 28 di via Supportico D’Astuti, una delle più redditizie della città, era in mano alla sorella di Antonio e Ciro, i due capiclan: Giulia Elia aveva messo a lavorare le figlie, la più piccola di appena 8 anni. Secondo i giudici, il contesto familiare e ambientale in cui vivevano i bambini «ha seriamente compromesso la possibilità di un adeguato sviluppo della personalità». Due fratelli, un maschio e una femmina di 9 e 12 anni, all’arresto dei genitori sono stati affidati alla zia, cui la stessa ordinanza aveva portato in carcere marito e figli. Lasceranno anche lei per andare via dalla Campania. Molte le segnalazioni dei servizi sociali su di loro nell’arco di due anni: lei non va a scuola fino alla bocciatura, lui è tra i minori che a notte fonda giocano a pallone in piazza del Plebiscito, a casa confezionavano coca per i genitori.

Lunedì Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, ha espresso le sue perplessità sul togliere i figli alle famiglie di camorra: «Credo che questi esperimenti siano la prova del fallimento dello stato che utilizza delle scorciatoie, intervenendo sulla parte più debole, il bambino, perché non è in grado di fare nulla sull’ambiente. Si è sicuri che quel ragazzo non veda questa cosa come un’altra vessazione? Non avrà forse l’immagine di uno stato che sa solo punire?». Ieri i rappresentanti della Terza Municipalità hanno incontrato la neoprefetto di Napoli, Carmela Pagano: «Serve un impegno vero del governo sull’emergenza camorra – ha spiegato Ivo Poggiani – a Napoli e nel rione Sanità in particolare. Il problema vero è la dispersione scolastica ma dall’esecutivo abbiamo ricevuto pochi spiccioli per gli istituti aperti il pomeriggio. Così i ragazzini vengono consegnati alla camorra».