Ottantenne da appena due giorni, Giancarlo Coraggio è stato eletto ieri 44esimo presidente della Corte costituzionale. Napoletano, una carriera nella magistrature amministrative (è stato presidente del Consiglio di stato) e negli uffici di vertice dei ministeri, Coraggio guiderà la Corte per un periodo abbastanza lungo, fino al gennaio 2022. Il suo mandato scadrà negli stessi giorni in cui le camere riunite si troveranno ad eleggere il nuovo presidente della Repubblica.
La sua elezione era prevista, addirittura annunciata pubblicamente dal predecessore Mario Rosario Morelli che ha guidato la corte per appena tre mesi. Scelto all’unanimità dai colleghi, Coraggio era vice presidente insieme a Giuliano Amato che ha confermato come vicepresidente unico e al quale verosimilmente lascerà il posto per i successivi otto mesi. Dopo di che, a fine 2022, sarà prevedibilmente di nuovo il turno di una donna alla presidenza, come è già stato per Marta Cartabia fino alla scorsa estate. Con la recente elezione della giudice di Cassazione Maria Rosaria San Giorgio, ora nel collegio della Consulta ci sono quattro donne su quindici giudici.

Nella conferenza stampa che segue l’elezione, ieri mattina Coraggio ha condensato la sua visione del ruolo della Corte spiegando che «noi giudici costituzionali ci muoviamo su un terreno delicatissimo, la legislazione, che è lo stesso del parlamento». Ragione per cui, ha spiegato, ci vuole «senso del limite del nostro ruolo» ovverosia «mai invadere campi in cui si deve esprimere la discrezionalità politica del legislatore».
A una domanda sulla da più parti enunciata compressione del ruolo del parlamento, e sul metodo dei dpcm durante la gestione dell’emergenza pandemica, tema di cui la Corte dovrà occuparsi almeno nel vagliare l’ammissibilità dei ricorsi di alcuni parlamentari, il neo presidente ha ricordato come in tutti i paesi ci sia stato un dibattito sui confini delle libertà personali e dei diritti alla sicurezza e alla salute. «Non sono inconciliabili – ha detto – il problema sarà vedere in concreto se è stato trovato il giusto equilibrio».

Quanto alla legge di bilancio per la quale quest’anno è previsto un iter di approvazione sostanzialmente monocamerale e a cavallo delle feste di natale, l’opposizione denuncia che al parlamento è stato concesso un tempo di esame persino inferiore a quello previsto per i decreti in casi di necessità e urgenza. Anche in questo caso è probabile che alla Consulta arriveranno i ricorsi diretti di alcuni sentori. Coraggio per questo non si è sbilanciato, ma ha ricordato come in altri paesi le leggi di bilancio siano sostanzialmente blindate dal governo, mentre qui da noi «la prassi dei maxi emendamenti e della fiducia sono una soluzione anomala, all’italiana. Ma il problema c’è». Anche perché il risultato sono leggi di un solo articolo con centinaia di commi, «un obbrobrio».