Simmetria perfetta. Il presidente della Camera Roberto Fico avrà le stesse 48 ore concesse alla collega del Senato Elisabetta Casellati per sondare la situazione sul fronte opposto: un accordo tra M5S e Pd. Leu non è stata nominata, contrariamente alle attese, ed è una scelta che il Quirinale, pur consapevole dello sgarbo, ha vagliato attentamente. Poi Sergio Mattarella si è convinto che il tentativo di smuovere il Pd sarebbe stato ancora più difficile includendo nella partita gli scissionisti.

 

IL CAPO DELLO STATO ha deciso di non prendere la parola di fronte ai giornalisti ma di far filtrare informalmente il proprio pensiero. Dopo aver segnalato «il dovere di dare al più presto un governo all’Italia», il presidente fa sapere di aver motivato così allo stesso Fico la sua decisione: «Ho atteso altri tre giorni per registrare eventuali novità pubbliche, esplicite e significative. Non sono emerse». È evidente l’intenzione di sgombrare il campo da ogni residua illusione di un possibile accordo tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, alimentata dalle continue e reciproche profferte. Con quel «forno» aperto non c’è possibilità alcuna di aprire un canale tra Nazareno e 5S. Il Pd fa addirittura sapere al Colle, con la dovuta discrezione, che senza chiarezza potrebbe addirittura disertare il colloquio con l’esploratore.

SERVONO SEGNALI inequivocabili, che stavolta arrivano. Prima le indiscrezioni fatte filtrare dal Quirinale. Poi a mettere ufficialmente la parola «fine» provvede Di Maio in persona, con un lungo intervento pubblicato sul blog delle Stelle: «Dal suo comportamento ho capito che Salvini non vuole assumersi responsabilità di governo. Non si dica che non c’ho provato fino alla fine. Adesso buona fortuna».

È il passo che chiedevano anche i renziani, ma solo per avviare il confronto. La strada non è affatto sgombra, e lo dimostra proprio la nutrita raffica di Niet che parte praticamente dall’intera guardia d’onore renziana. Nel Pd c’è chi punta e scommette su un governo M5S guidato però da Fico e non da Di Maio con appoggio esterno del medesimo Pd, in cambio della presidenza della Camera. Ma Renzi non ha alcuna intenzione di accontentarsi di questo.

IN QUESTE CONDIZIONI è molto improbabile che nel giro di 48 ore il presidente della camera possa portare al Quirinale una soluzione. Ma è altrettanto difficile prevedere che debba registrare un fallimento pieno o limitarsi agli «interessanti spunti» vantati da Elisabetta Casellati. Salvo miracoli nei prossimi due giorni Fico dovrà riferire che i margini per un accordo di governo non ci sono, ma che gli estremi per cercarli invece sussistono. A quel punto Mattarella si troverà di fronte a un dilemma in piena regola e forse a una tempesta che ha iniziato ad addensarsi già ieri.

Il presidente dovrà infatti decidersi a muovere il passo che ha sin qui rinviato: affidare un incarico, o un pre-incarico, politico. L’eventualità che proceda con un suo tentativo, con un governo del presidente, senza aver mai neppure tentato la via maestra dell’incarico politico è infatti, se non del tutto esclusa, di certo quasi fuori discussione. Il problema è a chi affidare quell’incarico e non sarà affatto una faccenda di facile risoluzione.

SALTARE A PIEDI PARI Salvini per chiedere a Di Maio di procedere, ma senza alcuna certezza, sulla via indicata come semplicemente possibile da Fico sarebbe il passo più logico. Però vorrebbe dire scatenare la rivolta del centrodestra.

I segnali sono partiti già ieri. Col garbo che le è proprio, la presidente del Senato Anna Maria Bernini ha detto chiaramente che, pur nel massimo rispetto per il capo dello Stato, «non si può prescindere dal cenrodestra». Salvini è più sanguigno. Bolla l’esplorazione di Fico come «una presa in giro». «Alla fine possiamo tirarci su le maniche e fare da soli», sbotta. E minaccia: «Potremmo fare una passeggiata a Roma». Una frase che sembra preludere alla richiesta, se Fico non potrà garantire la nascita di una maggioranza M5S-Pd, dell’incarico per «cercarsi i voti in Parlamento», strada che sinora il capo leghista aveva sempre bocciato.

In effetti, aggirare l’incarico a Salvini sarà arduo. Tanto più dopo la vittoria nel Molise, che ha rovesciato i rapporti di forza delle politiche, e in quella, prevedibile, nel Friuli Venezioa Giulia.

Però mettere in campo Salvini darebbe a un Paese sgomento la sensazione di assistere a un vieto gioco dell’oca e contraddirebbe la determinazione di Mattarella nell’accelerare le cose.

Dunque il presidente Mattarella attenderà con interesse e vera speranza i risultati del «giro» di Roberto Fico. Poi dovrà per forza prendere una decisione tra le più difficili. Per la prima ma non ultima volta in questa crisi.