La sentenza era già stata pubblicata il 3 luglio, e ieri sono arrivate le motivazioni: per la Corte costituzionale, la Fiat ha «limitato la libertà dei sindacati». E per questa ragione – dettagliata in un testo piuttosto articolato – essenzialmente la Consulta, dopo che la Fiom aveva sollevato la questione presso i tribunali di Modena, Vercelli e Torino, ha dichiarato l’incostituzionalità della parte dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori che esclude dalla rappresentanza i sindacati che non firmano gli accordi. «Un giorno felice per le lavoratrici e i lavoratori del nostro Paese», commenta il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. «Si conferma che la Fiat ha sempre applicato la legge, e che l’accusa di aver violato la Costituzione è infamante», dice invece il Lingotto.

Sia la Fiom che la Fiat, confortate da un passo delle motivazioni della Consulta, chiedono a questo punto una legge, di cui dovrebbero farsi carico il governo e il Parlamento. Vediamo subito questo brano: l’intervento operato dalla Corte con la sua decisione, dice la sentenza, non «individua, e non potrebbe farlo, un criterio selettivo della rappresentatività sindacale ai fini della tutela privilegiata di cui al titolo Terzo dello Statuto dei lavoratori in azienda nel caso di mancanza di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva per carenza di attività negoziale ovvero per impossibilità di pervenire ad un accordo aziendale».

A una tale evenienza, rilevano i giudici, si può dare risposta con «una molteplicità di soluzioni», tra cui la «valorizzazione dell’indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti», l’«introduzione di un obbligo a trattare con i sindacati che superino una determinata soglia di sbarramento», «l’attribuzione al requisito previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente», oppure il «riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro». L’opzione «tra queste od altre soluzioni», «compete al legislatore».

La Corte parla di un «vulnus» contenuto nel primo comma dell’articolo 19 dello Statuto, ai danni degli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione: «Nel momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro rappresentatività e si trasforma invece in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, sì da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative, il criterio della sottoscrizione dell’accordo applicato in azienda viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione», scrive la Consulta. L’articolo 2 della Costituzione garantisce «i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali»; l’articolo 3 tutela l’uguaglianza dei cittadini; l’articolo 39 la libertà di organizzazione, e il comma censurato dall’alta Corte lo viola «per il contrasto che, sul piano negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della libertà di azione della organizzazione sindacale».

«Non c’è alcun bisogno di cambiare la nostra Costituzione, va soltanto applicata e fatta applicare – commenta Maurizio Landini – Ora la Fiat applichi la sentenza della Corte costituzionale. Si ripristinino in tutti gli stabilimenti del gruppo i diritti, le libertà sindacali e le pari agibilità per tutte le organizzazioni sindacali. È necessario che la Fiat fissi l’incontro da noi richiesto. Inoltre il Governo convochi un tavolo nazionale sulle prospettive occupazionali e gli investimenti del gruppo Fiat in Italia e si faccia garante della piena applicazione della sentenza anche attraverso una legge sulla rappresentanza».

Allo stesso modo, chiede una legge la Fiat: «La Fiat – scrive in una nota il Lingotto – si riserva di valutare se e in che misura il nuovo criterio di rappresentatività, nell’interpretazione che ne daranno i giudici di merito, potrà modificare l’attuale assetto delle proprie relazioni sindacali e, in prospettiva, le sue strategie industriali in Italia. Certamente è necessario che, come anche la Corte suggerisce, il legislatore affronti rapidamente il generale problema della rappresentanza sindacale garantendo la certezza del diritto e l’uniformità dell’interpretazione normativa».

Soddisfazione per la sentenza è stata espressa anche dal collegio dei difensori della Fiom: che suggerisce al legislatore di ispirarsi al recente accordo sulla rappresentanza firmato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria.