Basso profilo, mai una parola. Fiammetta Borsellino in tutti questi anni è sempre rimasta nell’ombra di una famiglia già di per sé riservata, come a proteggere la memoria privata del padre, quel Paolo Borsellino che Cosa nostra condannò a morte e fece saltare in aria in via D’Amelio il 19 luglio del ‘92, assieme ai cinque agenti di scorta, due mesi dopo «l’attentatuni» a Giovanni Falcone.

Lei, sempre un passo indietro anche rispetto alla sorella Lucia o al fratello Manfredi, commissario di polizia a Cefalù, e soprattutto agli zii, i fratelli del padre, Salvatore, che ha animato le «agende rosse» urlando e commettendo qualche errore di valutazione (come l’estrema fiducia concessa a Massimo Ciancimino, figlio del sindaco mafioso di Palermo e ora imputato), e Rita, mite ma combattiva nella ricerca della verità. Ecco perché nell’anniversario della strage, lo sfogo di Fiammetta, consegnato al Corsera e poi ribadito con l’aggiunta di documenti alla commissione Antimafia che l’ha ascoltata in prefettura a Palermo, è stato deflagrante. Le sue sono parole dure, macigni. «Venticinque anni di schifezze e menzogne», un quarto di secolo trascorso a «costruire falsi pentiti con lusinghe e con torture»: accusa la figlia più piccola del magistrato.

Minuta, nervosa, proprio nell’anniversario della strage di Capaci per la prima volta davanti alle telecamere Rai, in diretta, parlò del depistaggio delle indagini sull’attentato al padre, costato l’ergastolo a persone innocenti ora assolte, e del bisogno – suo, della sua famiglia e del Paese – di arrivare alla verità. «Venticinque anni buttati», rilancia ora, dopo essere stata ascoltata dall’Antimafia. Ai commissari ha consegnato carte processuali che dimostrerebbero come, per dolo o negligenza, l’inchiesta sulla strage prese il corso sbagliato. Nel dossier c’è anche la lettera con la quale Ilda Boccassini, allora pm applicata a Caltanissetta, invitava i colleghi a stare attenti a Vincenzo Scarantino, pentito dalle alterne sorti che, per la magistrata, già allora, a pochi mesi dall’eccidio, era poco credibile. Nessuno la ascoltò. Neppure quando Scarantino si pentì di essersi pentito e ritrattò: una, due, tre volte.

«Chiedo scusa pubblicamente, anche a nome di chi avrebbe dovuto farlo, agli innocenti condannati ingiustamente», afferma Fiammetta alludendo alla sentenza della Corte d’appello di Catania che, in giudizio di revisione, ha assolto dal reato di strage gli imputati condannati che Scarantino e gli altri collaboratori di giustizia fasulli avevano accusato della strage. «In questi anni non si è vigilato sulle indagini», sostiene Fiammetta. «Non voglio parlare di responsabilità specifiche, ma è giusto che io faccia i nomi dei giovani magistrati che indagarono assieme a Giovanni Tinebra che si diceva fosse un massone e che mai smentì: Anna Palma, Nino Di Matteo». Non parla di dolo o colpe dovute a inesperienze, ma «certo – sostiene – quell’eccidio meritava che a fare l’inchiesta fossero persone con esperienza».

Proprio da via D’Amelio, dove si sono svolte le manifestazioni di commemorazione, il pm Nino Di Matteo, che da pochi mesi ha lasciato la Procura di Palermo per la Dna, replica senza però polemizzare. «Bisogna rispettare la memoria di Paolo Borsellino e comprendere il dolore dei familiari – afferma – Io so e tanti sanno, fuori e dentro la mafia e fuori e dentro le istituzioni, chi in questi anni ha continuato a cercare la verità sulla strage e si è esposto e ha esposto la propria famiglia a rischi gravissimi sacrificando la propria libertà e anche la carriera».

E ancora: «Credo che questo sia giusto ricordarlo per evitare che certe parole possano essere strumentalizzate da chi non vuole che si vada avanti nel completare il percorso di verità sulle stragi che, in questo momento, deve essere completato». Anche «cercando di capire, con gli elementi nuovi che sono stati scoperti in questi anni, chi eventualmente assieme agli uomini di Cosa nostra ha ucciso Paolo Borsellino».

La figlia del magistrato però è netta. «Ognuno deve fare la sua parte, che le indagini sul depistaggio vadano riaperte è ovvio».