Nuove frontiere della delocalizzazione. Sfruttando la pandemia, le imprese si inventano nuovi sistemi per chiudere fabbriche e storici presidi produttivi. Succede a Pontecchio Marconi, alle porte di Bologna, dove la Fiac produce da 40 anni compressori e in special modo pistoni per compressori. Martedì scorso, come un fulmine a ciel sereno, ai sindacati arriva la comunicazione da parte della multinazionale svedese Atlas Copco – 35mila dipendenti – del «trasferimento del ramo d’azienda» alla Abac di Robassomero in provincia di Torino, altra azienda del gruppo.

In pratica il 7 luglio – data prevista «per l’efficacia del trasferimento 102 dipendenti su 108 – si sarebbero dovuti trasferire a 350 chilometri di distanza senza fiatare.

E da mercoledì i dipendenti della Fiac sono in presidio permanente davanti all’azienda, una delle prime manifestazioni sindacali dell’era Covid. La straordinaria determinazione dei lavoratori e l’intervento delle istituzioni locali hanno subito costretto l’azienda a ritirare la procedura, ma l’allarme non è passato e il presidio davanti alla fabbrica va avanti. Importante il ruolo dei sindaci di Sasso Marconi Roberto Parmeggiani e Marzabotto Valentina Cuppi che hanno risposto all’appello della Fiom mentre l’assessore alle attività produttive dell’Emilia-Romagna Vincenzo Colla, che ha convocato un incontro in Regione per mercoledì 3 giugno.

Il trasferimento di ramo d’azienda è una procedura molto usata, ma non in ambito industriale. È reso possibile dalla legge 428 del 1990 ma quasi mai è stata utilizzata spostando un’intera fabbrica.
Ora anche grazie al parlamentare del Pd Andrea De Maria la vicenda potrebbe avere un risvolto legislativo. Come chiesto a gran voce dalla Fiom Bologna, De Maria ha presentato un emendamento al decreto Rilancio «per equiparare i trasferimenti collettivi privi di accordo sindacale ai licenziamenti collettivi – dal momento che producono i medesimi effetti di perdita di posti di lavoro – e quindi da ricomprendere nel sistema di protezione introdotto dal decreto Cura Italia e riconfermato nel decreto Rilancio», almeno fino al 19 agosto.

«La scelta della multinazionale è ancora più inaccetabile per la scelta del periodo perché costringe i lavoratori a mettere in campo azioni sindacali tradizionali in questo tempo rischiose, questo ci dà molta rabbia», commenta il segretario della Fiom di Bologna Michele Bulgarelli.

Venerdì si è svolta una riunione straordinaria del Comitato aziendale europeo della Atlas Copco in cui la Fiom ha ottenuto «solidarietà e aiuto» dai lavoratori disseminati in Europa «per far cambiare posizione e strategia alla multinazionale».