Oggi Forza Italia voterà alla Camera contro la riforma istituzionale scritta dal capo di Forza Italia a braccetto con Renzi, nei giorni lieti del Nazareno. Non è un ammutinamento, si sa. E’ lo stesso co-estensore della riforma, Berlusconi Silvio, a dare l’indicazione, accolta ieri sera con scarso entusiasmo dall’assemblea dei parlamentari.
Qualcuno farà in aula quel che si è impegnato a fare nella riunione del gruppo, qualcun altro no. I «morbidi» che fanno capo al nostalgico della Dc Rotondi sono gli unici ad ammettere il dissenso. Il loro «governo ombra» si è riunito e i «ministri ombra» hanno con la risibile solennità dato al democristianissimo mandato di appoggiare le riforme. La sagra del grottesco.
Ma anche i duri esitano, pur senza esplicitare troppo la tentazione ribelle. «Sono indecisa», concede Danielona Santanché, una che di solito campa con la mano sulla fondina e stavolta invece bela. Colpa, o merito, dell’amicizia pericolosa con Denis Verdini, che ancora occupa il suo ampio studio nella sede nazionale azzurra (quella in arretrato con l’affitto di chi si ricorda più quanti mesi), dalla quale, ineffabile, lavora alacremente contro la linea ufficiale del partito. Denis il pragmatico martella da giorni, si lavora i parlamentari a uomo: «Ma davvero vuoi votare contro le riforme? Guarda che quello fa saltare tutto, impone le elezioni anticipate e a te, pensaci bene, chi ti rielegge?». Alta politica, alla quale, inevitabilmente, i fedeli, che ai tempi del Nazareno erano gli infedelissimi, devono replicare con altrettanto nobili argomentazioni: «Ma quando mai? Ti pare che Renzi va davvero a votare col consultellum, così poi gli tocca fare il governo con noi?».
Queste le dotte argomentazioni in campo: quale delle due convincerà i singoli parlamentari azzurri, tormentati dallo spettro della disoccupazione (la loro, non quella del volgo) lo si vedrà oggi. Non solo contando i sì e i no, ma anche le assenze strategiche, le malattie diplomatiche, le distrazioni attente. Il timore che il gruppo dei dissenzienti, i conclamati e gli occulti, sia corposo è forte. Anche per questo Mariastella Gelmini si è spesa forse come mai prima per ricompattare tutti sull’astensione. Ce l’aveva quasi fatta: adesione di massa. Berlusconi no, non si è convinto, ha gelato la mediazione che pareva cosa già quasi fatta. Ha incaricato Toti di dare la linea: «Si vota no perché Renzi ha tradito i patti». Brunetta, il capogruppo, non aspettava altro. Il voto del gruppo era scontato, quello di oggi, in aula, lo è molto di meno.
In realtà una considerazione lievemente più politica c’è e riguarda i rapporti col Carroccio. La scelta di rientrare in aula oggi e votare clamorosamente contro «la riforma della discordia» è un passo sostanzioso, se non sostanziale, verso il ritorno all’asse nordica dei tempi gloriosi. L’unico che, sin qui, per Berlusconi si sia rivelato sempre vincente. Qualcuno voterà a favore della riforma anche in funzione antileghista, ma i ricostruttori di Fitto no. Quelli stavolta saranno col capo che mirano ad abbattere.
Ma non c’è solo il «tradimento» di Renzi dietro la linea durissima (e leghista) scelta dal capo. A suggerirgliela, probabilmente, è soprattutto la paura che il maledetto caso Ruby torni a disastrare tutto. Oggi si pronuncerà la Cassazione, e il rischio che azzeri l’assoluzione è forte. Dietro l’angolo c’è il possibile rinvio a giudizio per il Ruby-ter, con tanto di olgettine pentite. Così l’appena liberato potrebbe ritrovarsi nei guai fino al collo, se non addirittura in manette. E allora: à la guerre comme à la guerre.