«Brunetta se la poteva risparmiare»: Silvio Berlusconi sbotta così quando si ritrova di fronte l’intervista belligerante del ministro della Pubblica amministrazione, che riprende l’intemerata della collega Mariastella Gelmini e rincara. Una coalizione guidata da Lega e Fratelli d’Italia è «inevitabilmente perdente». Bisogna tornare alle grandi famiglie politiche che hanno costruito l’Europa: «socialista, liberale, popolare». Cosa intenda fare dei «sovranisti», che messi insieme fanno più o meno il 40% dell’elettorato, non lo dice. Vuole rivolgersi all’«opinione moderata che è la colonna portante», vuole «partiti all’altezza di Draghi». Ma non fa cenno a eventuali uscite da Fi.
Berlusconi la prende malissimo: «Ma se siamo stati i primi a volere Draghi, il Green Pass, il Pnrr! Sono stato l’unico ad avere un incontro bilaterale con Merkel e sarei sovranista?», si sfoga con gli intimi. E per ribadire il concetto a sera fa sapere anche di avere telefonato allo stesso Draghi per parlare dei risultati del Consiglio europeo.

In realtà di critiche i ribelli ne hanno da vendere anche tra di loro. Brunetta e Carfagna hanno deciso di mettersi in gioco per coprire Gelmini, ma ritengono il suo sfogo sbagliato. Gli ufficiali ribelli muovono gli stessi appunti a Brunetta: «Che senso ha un’uscita simile senza uno sbocco?».
Il problema è tutto qui: l’ammutinamento dei «governisti» non ha un punto di caduta. All’esterno la galassia centrista applaude. Gli ex azzurri di Coraggio Italia si fregano le mani: «Tutti insieme potremmo avere 100 parlamentari, decisivi per l’elezione del capo dello Stato. Berlusconi ha sbagliato a non invitarci al vertice della coalizione». Il professore ed ex ministro Giuliano Urbani, primo ideatore di Forza Italia, vede possibile «un partito liberale del 20% il cui leader naturale sarebbe Draghi». L’ipotesi però è solo scolastica. Con Draghi in campo è probabile che i centristi si coagulerebbero in una formazione più o meno solida. Però lo stesso Draghi avrebbe tutto da perdere in un’operazione del genere: infatti nemmeno la prende in considerazione. Senza una figura di tanto richiamo le velleità centriste, incluse quelle interne a Forza Italia, sono destinate a rimanere tali.

Dunque quel che resta del partito azzurro si prepara a una guerra di posizione in attesa dello snodo che arriverà con l’elezione del capo dello Stato. I governisti giurano di essere fortissimi: 30 deputati, 20 senatori e nei territori, sussurra Mara Carfagna, il disagio è altrettanto esteso. «Macché», ribattono i lealisti: «Moltissimi deputati che avevano firmato la richiesta di eleggere il capo dei deputati a scrutinio segreto hanno telefonato a Berlusconi per ribadire fedeltà e al Senato non sono più di un paio».

L’aspetto surreale è che conti del genere si fanno di solito alla vigilia di una scissione che qui nessuno vuole e nessuno si può permettere. Salvini ha chiamato al telefono sia Brunetta che Gelmini per invitarli alla prima riunione del summit composto da lui, Berlusconi e dai sei ministri della destra. Non ci sono stati sbalzi di tensione.

La stessa rivolta è difficilmente comprensibile perché, questioni di potere tra la corrente dei governisti e quella di Tajani a parte, nella visione delle cose tra i rivoltosi e Berlusconi non c’è differenza. O meglio c’è ma non riguarda la politica. Berlusconi non intende rinunciare a giocare un ruolo centrale e quelle dei suoi ex pupilli oggi al governo gli sembrano velleità destinate a sfociare nel nulla o in una scommessa minoritaria e fallimentare. Dunque si acconcia a lavorare con quel di cui dispone, i partiti sovranisti che Brunetta vorrebbe scaricare, e approfitta della loro sconfitta elettorale per cercare di imporsi di nuovo come nume tutelare della destra. L’azzardo del Colle serve anche a questo.