Caos, Mistero e Seduzione sono i temi che quest’anno hanno ispirato il Festival del Cinema del Reale guidato da Paolo Pisanelli nel suggestivo Castello Volante di Corigliano d’Otranto nella provincia di Lecce, dove all’interno dei suoi percorsi narrativi si rintraccia una riflessione sul rapporto dell’uomo con la natura in costante mutamento. L’equilibrio dell’eco-sistema terreste è entrato nell’ultimo decennio in una fase critica segnata da uno strappo profondo e violento nel binomio Uomo-Natura che getta entrambi in uno stato di Caos. Ad aprire il festival è stato il pluripremiato Honeyland dei registi macedoni Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov che partiti sulle montagne macedoni per realizzare un video promozionale sulla regione, scoprono in un villaggio abbandonato il mondo silenzioso e straordinaria dell’apicultrice Hatidze. Per quattro anni, attraverso una fotografia che richiama il colore del miele, raccontano l’amorevole convivenza della donna con le sue api interrotta dall’arrivo di una chiassosa e numerosa famiglia nomade con a capo Hussein. Hatidze accoglie la famiglia condividendo con Hussein i segreti per allevare i favi, ma soprattutto spiega l’importanza di lasciare del miele alle piccole api altrimenti in pericolo. La donna incarna l’antico mistero dell’unione simbiotica dell’essere umano con la natura in cui il rispetto è alla base della reciproca sopravvivenza; all’opposto si colloca la famiglia nomade che, spostandosi di volta in volta, rappresenta la costante ricerca dell’uomo di dominare e sfruttare la natura pur di ottenere il massimo rendimento mettendo a rischio l’equilibrio dell’eco-sistema. La seduzione che scaturisce dalla gentilezza di Hatidze non serve a fermare l’azione rapace della famiglia che, non ottenendo più nessun prodotto, abbandona il villaggio lasciando dietro di sé tristezza e desolazione.

L’urgenza di ristabilire un rapporto più sano con la natura ha fatto nascere in Italia diverse esperienze personali e collettive come Donne di terra, un gruppo di dodici donne imprenditrici attive in varie zone della Campania che hanno scelto di riavvicinarsi ai ritmi della natura: la semina, l’attesa, il raccolto. Il progetto, portato avanti con tenacia e solidarietà, è stato raccontato dalla regista Elisa Flaminia Inno attraverso le forme del documentario e della serialità. L’omonima mini-serie presentata in anteprima al festival è composta da cinque ritratti delle imprenditrici da cui emerge, soprattutto grazie alla loro quotidianità, la lotta rivoluzionaria intrapresa dal collettivo: recuperare le tecniche tradizionali per autoprodurre il proprio sostentamento puntando sulla qualità, così da essere indipendenti dalle multinazionali. Grazie a una piccola camera e troupe, la regista si muove indisturbata rimanendo comunque ai margini dei piccoli mondi mettendo in risalto una sacralità misteriosa e seduttiva che scaturisce dall’amore, cura e rispetto verso la natura. «Dal primo momento in cui ho incontrato il collettivo, ho capito subito l’urgenza di dover raccontare la loro storia – spiega la regista – Il loro è un atto rivoluzionario che nasce da un gesto tanto semplice ma molto importante in questo momento particolare che tutti stiamo vivendo; la natura è nel caos ma una soluzione c’è e queste donne incredibili lo dimostrano tutti i giorni.»

All’interno del festival è stato presentato in anteprima anche l’ultimo lavoro di Marco Antonio Pani, Padenti/Foresta dedicato alla raccolta del sughero nella foresta Is Pranus a Escalaplano in Sardegna. Il regista introduce lo spettatore attraverso i suoni della foresta, le formiche e gli alberi, fino a scorgere il gruppo di estrattori attenti a limare le asce: come nelle antiche tribù, gli uomini si preparano a compiere un rito che ogni dieci anni rinnova la convivenza tra gli escalaplani e la foresta, tra l’uomo e la natura. La foresta di Escalaplano rappresenta il polmone più importante del Mediterraneo grazie i suoi alberi di sughero che nel ricostruire la loro corteccia assorbono dall’aria dieci volte più anidride carbonica del normale. «Il rapporto della comunità di Esclapano e la foresta, si tramanda da generazione in generazione tanto che per la cresima i padrini regalano le asce utilizzate per la raccolta. Per loro, come spiega l’unica voce presente nel film, è un sogno poter raccogliere un giorno il sughero. – racconta il regista – La cura e la dedizione che questi uomini hanno verso la foresta è costante: aiutano gli alberi nella crescita e puliscono il sottobosco gratuitamente nell’attesa della raccolta.

Questa pratica è l’esempio concreto di come il rapporto responsabile dell’uomo con la natura sia fondamentale, non solo perché costituisce un apporto importante per l’economia locale, ma su larga scala riporta equilibrio nell’eco-sistema. Durante i mesi di lockdown la natura ha avuto il tempo e soprattutto la possibilità di riprendere i suoi spazi e questo dovrebbe farci riflettere che a questa crisi ambientale c’è rimedio».