Partiamo da una parola: civiltà. Una parola che non può esser messa in discussione, e per la quale ancora oggi vale pena battersi. Fermare un pullman carico di persone che non conoscono il loro destino non soltanto è giusto ma è necessario.

Per questo ho deciso di chiedere spiegazioni, e di fermare il primo dei tre pullman che portava via dal Cara di Castelnuovo di Porto bambini, donne e uomini. Vogliamo sapere dove vanno e cosa troveranno al loro arrivo. Sono persone cui dobbiamo offrire tutta la nostra umanità.

Uno stato di diritto deve garantire un’adeguata informazione, mettendo a conoscenza della destinazione e offrendo un’accoglienza adeguata. Semplicemente perché vogliamo che l’Italia resti un Paese civile.

Da questo centro, dove il papa scelse di fare la lavanda dei piedi, bisogna cominciare a scacciare la paura. Smetterla con l’ambiguità: non dobbiamo avere paura di chi – come il ministro Salvini con i suoi messaggi sbagliati e il supporto di alcune norme ingloriose – con la paura prova a indicare una rotta sbagliata per il Paese. «La paura rende pazzi», lo ha detto il papa, lo stiamo registrando ogni giorno di più nel nostro Paese.

Ho criticato e combattuto aspramente, e da subito, il cosiddetto decreto Sicurezza che pure tanto incide sulla vicenda. Il piano è però già scritto; l’obiettivo è svuotare il Cara. Ora, quello che metto in discussione è il metodo. Sgomberare il centro è una decisione che è stata presa ed è partita con un preavviso di appena ventiquattro ore; ma soprattutto ai 320 migranti, che in quel luogo vivevano, non è stato detto niente di quel che sarebbe accaduto di li’ a poco.

Davanti a quel pullman che sotto i miei occhi faceva retromarcia ho visto e parlato con i migranti ospiti della struttura: tra loro, donne tremanti perché vittime di tratta, persone vestite con abiti di cotone mentre il freddo gelava anche i fili della recinzione, madri preoccupate che non sanno se i propri figli oggi avranno da mangiare e se domani potranno continuare ad andare a scuola. Le informazioni sono arrivate dalla prefettura, e dopo un’ora e mezza i mezzi hanno ripreso la marcia. Questa volta trasportando gente consapevole se non del loro destino almeno della destinazione che li aspettava.

C’è anche un’altra storia dietro la chiusura del centro entro il 31 gennaio: dal giorno dopo resteranno senza lavoro gli operatori della cooperativa che lo gestiva. Centodieci persone che, come è giusto che sia, dovrebbero avere anche loro garanzie su quello che li attende. Lavoratori che faranno sentire la loro voce oggi pomeriggio davanti al ministero dello Sviluppo economico, per chiedere un ricollocamento.

Poi c’è la politica che di queste scelte deve farsene carico, nel bene e nel male. Saper discernere quello che è giusto da quello che è sbagliato. E sapere, consapevolmente, da che parte stare. Il Parlamento deve occuparsene, e avere la forza di mostrare le sue diverse posizioni. Dobbiamo conoscere il significato degli applausi sollevatesi in Aula, dai banchi della Lega e di Fratelli d’Italia, quando abbiamo denunciato che uomini, donne e bambini venivano portati via e chiedendo al Governo di riferire alla Camera sulla questione.

Io ho già scelto da che parte stare. Ho scelto di rispondere alla paura con la sola cosa che può vincerla. Ho scelto il coraggio, l’umanità, le persone. Ho scelto di dare dei nomi e cognomi a quel pullman in partenza. Non dimentichiamoci di essere un Paese civile.

* deputata di Leu