Giovani donne ieri in piazza Montecitorio si sono ritrovate per una performance chiamata «1522 Installazione». Un progetto Miur patrocinato dalla Camera dei deputati, Comune di Roma e Cpo Stampa Romana, rappresentato come «la via crucis della violenza, declinata in tutte le sue forme». Un migliaio di studenti romani che indossavano la maglietta con la scritta «io rispetto», mentre le ragazze avevano la scritta, «io valgo». Iniziativa e lo spettacolo si sono svolti nel giorno in cui è iniziata la discussione del Dl femminicidio nelle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali, con circa 400 emendamenti presentati per modificare il tanto discusso testo.

Commissione che inizia i suoi lavori con gli occhi puntati addosso e dopo il fuoco di fila della società civile che in tutti i modi ha cercato di suggerire una profonda revisione, a partire dallo scorporo delle normative che riguardano la violenza contro le donne dal pacchetto sicurezza. Nel testo sono infatti contenuti punti che non c’entrano niente con il femminicidio. Molte associazioni hanno sollecitato la soppressione degli articoli 2 e 3, modifiche profonde agli articoli 3 e 4. Chiedono di inserire un chiaro impegno sui finanziamenti all’articolo 5 perché non si tratta di un «piano straordinario», ma del «Piano antiviolenza nazionale» già in vigore (scade a novembre).

Le «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», non è andata giù a molte e la stessa viceministra Cecilia Guerra, con delega alle Pari opportunità, si è aperta a un confronto sulle modifiche di questo decreto, rendendosi conto delle incongruenze. Ne ricordiamo alcune: gli obblighi di informazione della vittima nel processo penale per il maltrattamento già introdotti dalla direttiva europea 29 del 2012 come spettanti a tutte le vittime di reato doloso per tutto il processo penale (un restringimento della stessa direttiva europea già accolta dal nostro Paese il 20 agosto); la definizione di violenza domestica come fenomeno «non episodico» con un passaggio in chiara contraddizione con la Convenzione di Istanbul che invece ne definisce i termini in maniera più ampia e realistica.

Il lavoro sul testo inziale si preannuncia lungo e faticoso. La presidenza della commissione ha chiesto di spostare l’approdo del decreto in aula al 2 ottobre (discussione che era invece prevista per oggi), data la mole degli emendamenti. Un ritardo che mette a rischio la conversione in legge, stabilita entro il 15 ottobre, e che potrebbe far arrivare al Senato un testo su cui si possa imporre la fiducia, al di là del prodotto che uscirà emendato dalla commissione e quindi dalla Camera. Titti Di Salvo (deputata Sel) chiede di modificare profondamente il testo alla Camera. Diversamente non potrà essere licenziato. Il suo gruppo ha presentato «emendamenti con cui ci assumiamo responsabilità pubblica di fare una battaglia su questo decreto, chiedendo conto di una presa di coscienza e responsabilità di tutti, anche chi pensa che la parte securitaria deve essere fatta».
Nello specifico, si discute ferocemente sulla irrevocabilità della querela. Su questo anche nel Pd ci sono posizioni contrastanti.

Dimostrando una certa indipendenza, Michela Marzano (deputata Pd), con altre parlamentari del suo gruppo e insieme anche a Pia Locatelli (Gruppo misto), hanno presentato emendamenti cercando una modifica profonda, compreso quello sulla revoca della querela, fondamentale per molta parte di quella società civile che sostiene l’autodeterminazione delle donne. Chi tra queste sceglie di non denunciare, o di ritirare la denuncia, non la fa perché tornano suoi loro passi. Lo fanno perché non si sentono adeguatamente tutelate e sostenute nel loro accesso alla giustizia.

«L’intenzione – dice Marzano – è quella di mettere sullo stesso piano la violenza sessuale con lo stalking, e farlo con un approccio paternalistico che non tutela affatto le donne. È ormai chiaro che la violenza contro le donne si deve affrontare con un taglio ampio, finanziando i centri antiviolenza e puntando sull’educazione fin da piccoli, perché sono le relazioni umane che devono cambiare». Un emendamento che ha riscosso un successo trasversale tra Pd, Sel e M5s.

Interviene Barbara Spinelli, avvocata dei Giuristi democratici: «In una parte del Pd, Sel e M5s, c’è stato uno sforzo notevole di far entrare in aula quanto le associazioni hanno osservato durante le audizioni, introducendo numerosi emendamenti suggeriti da noi e sottoposti alla loro attenzione – ha affermato – La maggior parte di questi emendamenti tenta di rendere costituzionalmente accettabili gli articoli 2 e 3, rendendo conforme il testo legislativo alla Convenzione di Istanbul, come quelli in cui si cerca di sganciare il rilascio del permesso di soggiorno alle donne straniere che hanno subito violenza dall’esistenza di gravi e attuali pregiudizi per l’incolumita psicofisica. E se da un lato va elogiato questo dialogo tra parlamentari e donne impegnate sul campo, per trasformare un provvedimento malfatto e figlio dell’emergenza, dall’altro, allarmano molti degli emendamenti proposti da Binetti fatti come se la Convenzione di Instabul non fosse ancora stata ratificata: tanto da voler reintrodurre anche nei casi di violenza, la mediazione familiare e le ipotesi di giustizia riparativa».

L’articolo 48 della Convenzione di Istanbul vieta i tentativi di mediazione in tutti i casi di violenza domestica. A livello internazionale è noto che questa è una pratica rivittimizzante e lesiva dei diritti delle donne: un passo che ci riporterebbe indietro nel tempo. «Qui – continua Spinelli – è evidente l’idea che le donne sono considerate soggetti deboli, che lo Stato si fa carico di scovare le vittime di violenza grazie alle segnalazioni degli operatori sanitari, sociali e delle forze dell’ordine, e che voglia tutelarle andando a prelevare i violenti, e con gli emendamenti di Binetti si conclude il passaggio proponendo la mediazione familiare, prima ancora dell’accoglienza. Questa idea è frutto di una lettura ideologica della violenza maschile sulle donne, ben lontana dai principi che ispirano la Convenzione di Istanbul, che riconoscono nella donna che ha subito violenza non una vittima-soggetto debole da tutelare, obbligandola a prendere parte a un processo penale o a essere seguita dai servizi sociali, ma un soggetto vulnerabilizzato dalla violenza subita, dalla lesione dei suoi diritti fondamentali, per primo quello all’integrità psicofisica, che lo Stato ha l’obbligo di informare sui suoi diritti, sulle strutture presenti sul territorio dove può trovare supporto e aiuto».

La strada da fare è ancora molta. SOno in molti ad auspicare che la maggior parte delle e dei parlamentari in Commissione si assuma la responsabilità di votare gli emendamenti migliorativi e conformi principi della Convenzione di Instanbul. In questa baraonda di aggiustamenti, solo il M5S ha presentato la richiesta di soppressione del capo I del DL, ovvero di tutto quello che riguarda la vioelnza contro le donne. Non bisogna accettare l’inserimento del femminicidio in un contesto securitario.