Nel quartiere operaio di Krasnaja Presnja, da cui partirono a Mosca gli scioperi del 1905, in un loft al primo piano di un edificio in mattoni rossi, che fa parte del complesso di una ex fabbrica dove prima della rivoluzione si producevano mobili e, dopo la rivoluzione, componenti di macchinari, ha la sua sede una piccola e raffinata casa editrice, la «Novoe Izdatel’stvo» (Nuova Editoria), fondata da Andrej Kurilkin nel 2003, che ha appena vinto il più prestigioso premio letterario russo, «Bol’šaja kniga» (Il grande libro) con il romanzo di Maria Stepanova Pamjati pamjati («In memoria della memoria»). Questa conversazione con Kurilkin ha avuto luogo a Mosca, nella sede della sua casa editrice, durante la Fiera del libro.

Quando ha cominciato la sua impresa editoriale lei aveva solo ventisette anni, e da non molto si era conclusa la crisi economica del 1998. Ci racconta i suoi esordi?
Dopo essermi laureato in storia all’Università di Studi umanistici di Mosca, cominciai subito a lavorare come redattore presso la casa editrice Novoe Literaturnoe Obozrenie, diretta da Irina Prokhorova. Lì ho imparato moltissimo e dopo tre anni, insieme a un amico più anziano e più esperto di problemi economici, che purtroppo è mancato nel 2006, ho deciso di tentare l’avventura e di fondare una casa editrice dove pubblicare esclusivamente i libri che avrei voluto leggere. All’inizio è stato tutto semplice, abbiamo registrato il marchio e pubblicato il nostro primo libro, Miti, emblemi e spie di Carlo Ginzburg, poi pian piano ho cominciato a rendermi conto della mia incoscienza relativa ai problemi pratici, dall’acquisto di un toner, alla carta, al consumo elettrico; ma l’entusiasmo e il desiderio di restare indipendenti ci hanno permesso di superare le difficoltà. Siamo una casa editrice agile con cinque dipendenti che si occupano di tutto e pubblichiamo libri di critica letteraria, poesia, memorie, filosofia, sociologia appartenenti a uno spazio culturale comune, per cui ora ci siamo guadagnati una certa fama.

I libri di «Novoe Izdatel’stvo» si differenziano da tutti gli altri presenti sul mercato russo: non sono divisi in collane, non indicano la tiratura, hanno copertine immediatamente riconoscibili per la loro sobrietà. Inoltre, non avete un sito e nemmeno un catalogo: a quale strategia editoriale fa capo tutto ciò?
Durante il periodo sovietico era obbligatorio indicare la tiratura, e quasi tutte le case editrici russe continuano a farlo. Io non vedo perché dovrei: se il libro vende, lo ristampo e non ho alcun bisogno di far sapere al lettore che io per primo avevo dei dubbi sul suo successo. Non ho un catalogo ma tutti i miei libri si trovano su Ozon e Labirint, i corrispettivi russi di Amazon, e in tutte le librerie che vendono letteratura «intellettuale», come si dice da noi. Abbiamo una pagina Facebook su cui mettiamo tutte le informazioni che ci riguardano e non vedo a cosa ci servirebbe un sito. Dal 2003 ho pubblicato circa trecento libri, con il tempo i miei gusti sono un po’ cambiati, la letteratura accademica è meno rappresentata. Non vedo perché dovrei rinchiudere nel ghetto di una collana lo spazio occupato dalla poesia, dalla critica letteraria, dalla memorialistica, dalla filosofia, dalle arti visive: i libri devono esibire la loro appartenenza a un’unica cultura. Sono le copertine a segnalare che di qualsiasi cosa si tratti (poesia, saggistica, memorialistica), il taglio culturale è lo stesso. L’unica collana che si differenzia è quella dedicata alla storia contemporanea, sovietica e post-sovietica, «Novaja istorija» (Nuova storia) dove ho pubblicato, fra le altre cose, le conversazioni con Aleksej Naval’nyj di Adam Michnik.

I temi ai quali lei dà maggior spazio vanno da la teoria del trauma, alla memoria, alla descrizione del contesto post-sovietico e gran parte dei suoi autori – poeti, storici, sociologi – hanno cominciato a pubblicare alla fine degli anni Ottanta. Quali criteri guidano le sue scelte?
Come ho già detto, scelgo i libri che interessano me. È appena uscita la raccolta di poesie My – Drugoe (Noi siamo un’altra cosa) di Julij Gugolev, un poeta che avevo pubblicato circa dieci anni fa e che sentivo ogni tanto, informandomi su cosa stesse scrivendo e aspettando con pazienza che mi mandasse il suo manoscritto. Appena l’ho avuto, l’ho pubblicato. La stessa cosa è avvenuta con il poeta e critico letterario Michail Gronas, con Michail Ajzenberg, con lo storico e sociologo Michail Jampolskij, che insegna ora alla New York University e di cui ho appena pubblicato uno studio di antropologia filosofica sul ruolo dei parchi della cultura nella Mosca di oggi. Di Maria Stepanova, prima di pubblicare il romanzo che ha appena vinto il più grande premio letterario russo – premio che non segnaleremo nella bandella di copertina perché non lo troviamo un elemeno interessante – avevo fatto uscire sue raccolte di poesie e saggi. Il titolo, In memoria della memoria, sembra un necrologio, me ne rendo conto, ma più che un romanzo è una «romanza», qualcosa che sta fra una storia d’amore, un resoconto di viaggio, una riflessione sulla fotografia. Il libro è stato già venduto in tutta Europa ma i diritti di traduzione non appartengono a me bensì all’editore tedesco Suhrkamp che ha sponsorizzato il progetto dall’inizio. Cominceremo l’anno nuovo con due titoli molto diversi fra loro, che ben ci rappresentano: il saggio di Carlo Ginzburg Occhiacci di legno, per cui non abbiamo avuto alcun contributo finanziario, e quello dello storico della letteratura Vsevolod Zel’enko che analizza la poesia La scimmia di Vladislav Chodasevich. Ma non siamo affatto i soli a proporre libri di qualità e ben curati: a Mosca e a Pietroburgo stanno aprendo molte piccole case editrici specializzate, per esempio «Rosebud Publishing», che pubblica libri su cinema e arte.