In attesa delle celebrazioni, nell’ottobre del 2022, per il centenario della morte di Felice Barnabei, figura di rilievo nell’ambito della Direzione generale antichità e belle arti e deputato alla Camera del Regno d’Italia, il Museo nazionale etrusco di Villa Giulia – da lui fondato nel 1899 come sezione extraurbana del Museo nazionale romano – lo ricorda con la mostra Felice Barnabei. Gocce di memorie private (fino al 10 ottobre nella Sala dei Sette Colli).
A cura di Maria Paola Guidobaldi, la rassegna è incentrata sull’esposizione di otto dei venti disegni autografi, donati al museo nel 2019 da Lucia, Guido, Maria Angelina, Francesca e Caterina Fiegna, pronipoti di Caterina, sorella di Felice Barnabei.

TROVATI nel 2018 nelle soffitte di Palazzo Fuschi a Castelli – suggestivo borgo abruzzese alle pendici del Gran Sasso d’Italia, dove Felice nacque il 13 gennaio del 1842 – risalgono agli anni 1854-58 quando, grazie a un sussidio del governo borbonico, Barnabei poté studiare a Teramo presso i Padri Barnabiti e frequentare la scuola d’arte di Pasquale Della Monica. Restaurati da Barbara Costantini, i disegni a matita e a carboncino su carta, rappresentano esercitazioni sull’anatomia che denotano una spiccata abilità.
Ad arricchire la mostra anche una selezione di oggetti archeologici appartenuti al protagonista della rassegna, restaurati da Miriam Lamonaca e Irene Cristofari. La collezione, che consta di 81 pezzi fra reperti originali e riproduzioni moderne di manufatti antichi, è stata donata nel 2018 al Museo di Villa Giulia da Roberta Nicoli Barnabei, pronipote del fondatore.

TRA LE VETRINE, si distinguono i bronzi di provenienza medio-adriatica e i frammenti di ceramica fine da mensa in terra sigillata (anche detta «aretina»), i quali riflettono gli interessi scientifici e professionali dello studioso. Completano l’esposizione alcune foto di famiglia e una singolare caricatura di Barnabei, realizzata in maiolica (probabilmente di Castelli) e in forma di statuina-salvadanaio, prestate rispettivamente dai pronipoti Alfredo Celli e Peppino Scarselli.
Un’eredità a tratti pittoresca, che nel raccontare la vita di un personaggio istituzionale ne mette in risalto anche i caratteri più intimi, testimoniati ora dal generoso gesto dei suoi discendenti, affinché persino la storia famigliare possa essere patrimonio condiviso dalla comunità.