“Coppi per sempre” di Auro Bulbarelli e Giampiero Petrucci (Edizioni Gribaudo, pagine 538, euro 35) è un libro tutto da leggere (meglio: da vedere con la mole impressionante di foto) ed è un bel regalo che uno può farsi per l’anniversario della morte (59 anni fa) di questo campione del ciclismo entrato nella leggenda e mai del tutto uscito. Va dato atto agli autori di aver evitato la struttura del “saggio” che risistemasse teoricamente la questione Coppi, anche per evitare inutili “corpo a corpo” con tantissimi autori della letteratura e del giornalismo che hanno attraversato il fenomeno. Si è scelta la strada, più utile per il grande pubblico, della strenna-ricordo a mo’ di compendio sentimentale per i lettori di oggi ma soprattutto del futuro. Racconta Eddy Merckx nella prefazione: “I campioni diventano indimenticabili quando lasciano un segno tangibile del loro passaggio, che non è fatto solo di numeri e cifre ma di coraggio. Ecco, di Fausto mi ha colpito prevalentemente il coraggio: sfidando la strada in ogni sua forma, lottando per la sua vita, le sue scelte non sempre facili. Ha fatto tutto questo in un periodo nel quale tanti lo adoravano ma nessuno, su certi argomenti, ti perdonava niente”. E il libro inizia a Castellania in provincia di Alessandria dove nasce, il futuro asso della bicicletta. “Coppi è bellezza e tragedia” scrivono appropriatamente gli autori del volume. E nel libro, infatti, sia gli anni della formazione che quelli della maturità, quando iniziano i “duelli con i grandi”, trovano una sintesi divulgativa encomiabile. Che prosegue poi con la rinascita e le vittorie del dopoguerra, la “magica” stagione del 1949, le altre vittorie e sconfitte accompagnate dai cosiddetti scandali della sua vita privata e pubblica, i rapporti discontinui con gli altri campioni (Bartali, Magni…), gli anni che accompagnano la decadenza che così descrive la figlia Marina: “Papà era nato con la voglia di misurarsi con se stesso. Questa voglia se la portò sino alla fine”. Ma in un libro soprattutto fotografico non possono mancare le segnalazioni di alcune chicche ritrovate in un lavoro di ricerca certosino: le foto di Coppi sull’Abetone al Giro del 1940, l’arrivo della Cuneo-Pinerolo del 1949, la gara sulla pista coperta di Buenos Aires del 1958. E spetta a Gianni Mura il giudizio più pertinente su Coppi: “Era nato da una terra matrigna, sulla quale i suoi avi si erano induriti soffrendo. E conserva sul volto il ricordo della fame divenuto volontà disperata, anzi disumana”.