«Quelli di Fatah litigano tra di loro e Hamas ha buone possibilità di vincere le elezioni, come nel 2006». Rima – la nostra interlocutrice ci chiede di indicarla con questo nome – è una osservatrice attenta della realtà della Cisgiordania. «Non è qui – ci spiega -, a Betlemme o a Ramallah, che (il movimento islamico) sta costruendo le basi del suo successo. Lo fa nelle cittadine periferiche, nei villaggi, nelle zone rurali. È un lavoro poco visibile ma intelligente, che punta come 15 anni fa sulla promozione di volti nuovi, stimati dalle popolazioni locali e alternativi agli esponenti di Fatah. Il 22 maggio Hamas forse avrà di nuovo la maggioranza relativa nel Consiglio legislativo palestinese».

Come Rima ne sono convinti molti palestinesi. Fatah – dicono -, lacerato al suo interno dagli interessi di parte, procede verso la sconfitta elettorale in Cisgiordania. E a Gaza Hamas, pur avendo perduto consensi in questi ultimi anni, comunque otterrà la maggioranza dei voti. Aumenta, temono alcuni, il rischio che il voto sia rinviato o che il suo risultato non venga riconosciuto dagli sconfitti, dai paesi occidentali e da Israele. Potrebbe ripresentarsi lo stesso scenario del 2006 che sfociò nello scontro armato Fatah-Hamas. Il movimento islamico ne è cosciente e ha adottato una linea soft con Fatah – non presenterà un suo candidato alla presidenza – e per vie indirette manda messaggi concilianti a Usa ed Ue. Nella lettera all’Amministrazione Biden inviata qualche giorno fa, i dirigenti di Fatah fanno riferimento alla disponibilità degli islamisti alla creazione di uno Stato palestinese solo nei Territori occupati del 1967 e all’idea della resistenza pacifica all’occupazione israeliana. Musa Abu Marzouk, uno dei leader di Hamas, ha poi precisato che il movimento non sta rinunciando alla lotta armata. Secondo il giornalista Nasser Atta «Hamas punta a legittimarsi agli occhi dei paesi occidentali e a evitare che i suoi eletti dopo il voto siano arrestati da Israele, come avvenne nel 2006». Per questo ha dato nei giorni scorsi una dimostrazione di unità e democrazia interna tenendo a Gaza e in Cisgiordania le votazioni per il rinnovo della sua assemblea, il Consiglio della Shura, i cui membri sceglieranno il leader e la direzione politica del movimento.

In Fatah al contrario si vivono fasi caotiche. Il nodo Marwan Barghouti, uno dei suoi leader principali, non è sciolto. Paralizzati dalla decisione presa di ricandidare, ad ogni costo, l’85enne Abu Mazen alla presidenza dell’Anp (il voto si terrà il 31 luglio), i vertici del partito fanno pressioni sul popolare Barghouti, in carcere in Israele da 19 anni, affinchè rinunci a candidarsi alla guida dell’Anp. Fatah al «Mandela palestinese» ha proposto di capeggiare la lista del partito e di scegliere 10 nomi da candidare. Ma Barghouti non vuole il solito listone, chiede le primarie per far scegliere i candidati dalla base. E non rinuncia, almeno per ora, alla possibilità di candidarsi a presidente contro Abu Mazen. I palestinesi vogliono che scenda in campo. I sondaggi dicono che nessun potenziale avversario, anche islamista, non può batterlo. E il suo coinvolgimento darebbe a un Fatah calcificato lo slancio giusto alle legislative. Invece i vertici di Fatah esitano, perché temono la sua popolarità. Dalla sua parte però si è schierato apertamente l’influente Nasser Kudwa, nipote dello scomparso presidente Yasser Arafat e membro di spicco del Comitato centrale, che è pronto a presentare entro la scadenza del 31 marzo una lista con Barghouti in testa se Fatah continuerà a sostenere la candidatura a presidente di Abu Mazen.