Dal primo dicembre il governo dell’Autorità nazionale palestinese tornerà ad avere il controllo pieno di Gaza e 3mila uomini della guardia presidenziale saranno dispiegati nelle strade della Striscia e ai valichi con l’Egitto e Israele. Sono questi alcuni dei punti principali dell’accordo, mediato dagli egiziani, firmato ieri al Cairo dal numero due di Hamas Saleh al Aruri e dal capodelegazione di Fatah Azzam al Ahmad. Accordo che ha posto fine a una ferita, rimasta aperta per oltre 10 anni, dalle conseguenze devastanti non solo sul piano politico. L’intesa è stata seguita da manifestazioni di gioia nelle strade di Gaza con migliaia di persone. La speranza della gente di Gaza è che la ritrovata unità nazionale serva a dare un nuovo impulso alla ricostruzione della Striscia, ancora a pezzi dopo l’offensiva israeliana “Margine Protettivo” del 2014, e colpita più di recente dalle misure punitive varate dal presidente dell’Anp Abu Mazen proprio per costringere gli islamisti a rinunciare al controllo di Gaza. Ieri si festeggiava anche ai vertici di Israele. Non certo per la riconciliazione Fatah-Hamas. In Israele è stata accolta come una vittoria la decisione annunciata dal Dipartimento di stato che gli Stati Uniti usciranno nel 2018 dall’Unesco per protestare contro un presunto atteggiamento filo-palestinese e anti-israeliano dell’agenzia dell’Onu. «C’è un prezzo da pagare per la discriminazione contro Israele, è una nuova era all’Onu…La decisione (statunitense) rappresenta un punto di svolta», ha commentato l’ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon. Simili le dichiarazioni fatte da altri esponenti politici israeliani, tra i quali l’ex ministra degli esteri Tzipi Livni che via twitter ha applaudito al passo fatto da Washington.

Abu Mazen, ora pronto ad annullare le sua misure punitive che hanno colpito soprattutto i civili, dovrebbe tornare a Gaza, per la prima volta in 10 anni, entro tre o quattro settimane. Almeno così dicono le indiscrezioni, manca ancora l’ufficialità. Ieri il presidente palestinese per la prima volta si è mostrato soddisfatto. Ha dato il benvenuto al «risultato raggiunto da Fatah e Hamas con la mediazione egiziana al Cairo» e ha sottolineato che «l’accordo rafforza e accelera i passi per porre fine alla divisione e ripristinare l’unità del popolo palestinese, del suo territorio e delle istituzioni palestinesi». Quindi ha esortato il governo e tutti gli apparati e le istituzioni a lavorare per attuare quanto contenuto nell’intesa e per realizzare «ciò a cui mira il popolo, ossia ritrovare l’unità». In base all’accordo il governo del premier Rami Hamdallah prenderà il controllo dei settori civili e di sicurezza interna. È prevista anche la formazione di un governo di unità nazionale – nelle prossime due settimane tutte le forze politiche, non solo Fatah e Hamas, si riuniranno per creare il nuovo esecutivo -, l’organizzazione di elezioni politiche e presidenziali, la formazione di una commissione congiunta per decidere il futuro degli impiegati assunti da Hamas negli istituzioni pubbliche (circa 45 mila persone tra civili e militari).

I leader di Hamas e Fatah hanno evitato di toccare l’argomento ma l’accordo annunciato ieri all’alba dal capo di Hamas Ismail Haniyeh e confermato da Abu Mazen è stato reso possibile solo per il congelamento del nodo più difficile da sciogliere: le armi di Hamas e il ruolo dei 25 mila combattenti del braccio militare del movimento islamista, le Brigate “Ezzedin al Qassam”. «La questione dovrebbe essere affrontata nei negoziati successivi al Cairo (il prossimo 21 novembre, ndr), in realtà resterà chiusa in un cassetto, per evitare che comprometta l’esito finale della riconciliazione» spiegava ieri al manifesto un giornalista di Gaza, S.K., ben informato sulle decisioni che sono prese ai vertici del movimento islamista. «La soluzione è stata trovata, anzi imposta, dagli egiziani – ha proseguito il giornalista palestinese – In sostanza gli uomini di Ezzedin al Qassam si renderanno invisibili per lasciare nelle strade di Gaza soltanto alle forze di sicurezza ufficiali dell’Anp. Abu Mazen alla fine ha accettato la soluzione imposta (dal Cairo) dopo aver chiesto con forza il disarmo di Hamas». Ma chi avrà autorità sull’arsenale del movimento islamico che include razzi che nel 2014 sono stati in grado di raggiungere ogni punto di Israele? «Le armi sono di Hamas e resteranno sotto il controllo di Hamas» ha concluso S.K. «i leader del movimento islamista però hanno accettato di decidere con Fatah e le altre fazioni palestinesi se e quando usare quelle armi ed impiegare la sua milizia». Una soluzione che favorisce la riconciliazione ma che rende più debole Abu Mazen agli occhi degli egiziani che inquadrano l’accordo firmato ieri in un processo più ampio che dovrà portare alla normalizzazione dei rapporti tra mondo arabo e Israele.