«Dobbiamo metterci d’accordo sull’obiettivo» afferma il vice-ministro all’Economia Stefano Fassina.

Quello di realizzare in Italia il reddito minimo garantito e una riforma del sistema del welfare?

Sì, ma stiamo parlando di un reddito condizionato all’inserimento al lavoro, oppure di un reddito sganciato da qualunque lavoro? Io resto convinto che per una forza progressista la cittadinanza passi attraverso il lavoro. Il mio obiettivo è un lavoro di cittadinanza da promuovere anche attraverso misure sul reddito, ma finalizzate al miglioramento dell’occupazione qualificata per coloro che sono nelle condizioni fisiche di lavorare. Ovviamente è diverso se parliamo di pensioni sociali o altri sussidi. Per il governo, il ministro del lavoro Enrico Giovannini ha proposto il sostegno di integrazione attiva (Sia). Il lavoro dipendente ha la cig ordinaria, straordinaria, la mobilità. Misure che si pagano con i contributi, non un regalo che si fa a qualcuno. Sono conquiste dei lavoratori nel corso del Novecento. Il reddito di inclusione o integrazione al lavoro riguarda coloro che non hanno i requisiti ordinari. L’obiettivo anche di Giovannini è un contrasto alla povertà ma anche di promozione del lavoro di chi è precario.

Il Sia non è un reddito minimo che tutela l’autonomia del singolo, ma un sussidio di sopravvivenza per famiglie indigenti.

Se avessimo 30 miliardi di euro Giovannini avrebbe proposto una misura universale, ma non li abbiamo. Per il momento Giovannini ha solo l’obiettivo di ricavare un miliardo ed è chiaro che deve partire dalle condizioni di maggiore sofferenza. È una necessità, ma lo strumento vuole avere portata universale. Davvero invito a non sottovalutare le difficoltà di finanza pubblica che sono serie anche se ciò non deve inibire ad andare avanti. La proposta va valutata per quella che è. E non è necessariamente un male.

I 30 miliardi per il «reddito di cittadinanza» proposti dai 5 stelle in realtà sarebbero molti di meno. Secondo alcune stime, riformando il sistema degli ammortizzatori sociali, ne servirebbero 6-8 all’anno.

Mi permetta di dubitare di queste cifre, vorrei comunque studiarle. A parte la cassa in deroga, gli altri istituti esistenti sono alimentati da contributi pagati dai lavoratori. Se si toccano questi strumenti bisogna cambiare anche la contribuzione.

La cassa integrazione in deroga non funziona. Sono in molti a sostenere la necessità di una sua riforma in un sistema incentrato sul reddito minimo. Lei che ne pensa?

La cassa in deroga era stata pensata come una forma residuale perchè, com’è noto, in Italia abbiamo la Cig ordinaria, la mobilità, l’indennità di disoccupazione. Tuttavia con l’esplosione della crisi è diventata un paracadute molto usato. Non c’è dubbio che sia uno strumento da cambiare. Finiremo il 2013 con quasi 3 miliardi per la Cig in deroga, e stiamo parlando solo di un pezzo del mondo del lavoro. In sei mesi abbiamo comunque recuperato 1,5 miliardi per la cassa in deroga, risorse che altrimenti una parte della cittadinanza non avrebbe avuto. Dobbiamo recuperarne altri dagli strumenti che esistono ma non funzionano in un quadro di recessione, come dall’evasione fiscale che resta una grande anomalia italiana. Il ministro Giovannini vorrebbe recuperarle all’interno di una funzione attiva per il lavoro.

Sul reddito esistono tre proposte: Pd, Sel e ora, salvo ripensamenti, quella di Grillo. Secondo lei, è possibile arrivare a definire una proposta unica?

Visto il crescente interesse delle forze politiche e sociali sul reddito, mi auguro di sì. La mia critica al Movimento 5 Stelle era sulle coperture e sull’illusione che viene data a tante persone in sofferenza. Io però vorrei superare le polemiche e approfittare delle colonne del manifesto per lanciare una proposta.

Di cosa si tratta?

Mi impegno a convocare nelle prossime settimane tutti i promotori delle leggi sul reddito e tutte le forze sociali interessate. Incominciamo a entrare nel merito, formiamo un gruppo di lavoro con chi vuole partecipare. Facciamo una mappatura delle risorse necessarie e disponibili. L’obiettivo mi sembra condiviso, come governo siamo disponibili ad avviare sperimentazioni inizialmente nelle maggiori città italiane. Durerà il tempo necessario, se siamo convinti sulla necessità di dare un reddito, ma anche opportunità di lavoro. C’è la mia piena disponibilità a ragionare su tutte le voci di bilancio che si intendono coinvolgere.