Il vice-ministro all’Economia Stefano Fassina appoggia le principali associazioni del lavoro autonomo in Italia, Colap, Confassociazioni, Agenquadri, Alta partecipazione, Acta che insieme alla Consulta delle professioni della Cgil hanno promosso un appello contro l’aumento dell’aliquota contributiva per gli iscritti alla gestione separata dell’Inps dal 27% al 28% (arriverà al 33% nel 2018) stabilito dalla riforma Fornero. «È un intervento sbagliato – afferma Fassina che lunedì ha incontrato le associazioni al ministero di via XX settembre a Roma – perché è ispirato ad un’interpretazione infondata del ruolo dei soggetti interessati e forza per ricondurli tutti nell’universo del lavoro dipendente. Il lavoro autonomo non regolamentato dagli ordini professionali è invece un fenomeno specifico che deve essere riconosciuto come tale. Questi lavoratori pagano i contributi interamente di tasca loro e non, come avviene per il lavoro dipendente, insieme alle loro controparti. Nel caso di un aumento dell’aliquota, non affronteranno solo una riduzione del reddito disponibile, ma anche una riduzione del loro reddito netto.

Perché il governo Monti decise di aumentare i contributi nella riforma Fornero?

Più che «riforma», quella Fornero la chiamerei «legge». Il sostantivo «riforma» andrebbe usato in maniera selettiva, quando viene migliorata la situazione di chi è in difficoltà, cosa che non mi sembra sia avvenuta in questo caso. L’aumento dell’aliquota deriva da una visione ideologica del mercato del lavoro dove la partita Iva viene considerata come un’attività di lavoro dipendente mascherata. Ora, è evidente che esistono enormi aree di abuso. Abbiamo tanti casi documentati di partite Iva fatte ai carpentieri che lavorano nei cantieri o alle commesse che lavorano nei supermercati. Ci sono molti casi anche nel lavoro professionale. Vanno tutti combattuti. Ciò non toglie che esiste un’area del lavoro che ha caratteristiche vere di autonomia che va riconosciuta. Mi sembra che l’appello descriva la specificità di questo fenomeno. In più registro la novità per cui per la prima volta tutte le rappresentanze del lavoro autonomo non ordinistico e quelle di ambito sindacale si sono sedute attorno ad un tavolo. È un fatto politico importante.

Non crede che a questa visione ideologica del lavoro abbia contribuito sia la sinistra politica che quella sindacale?

C’è stato un ritardo culturale che abbiamo affrontato in questi anni. Ricordo che nel 2011, quando il Pd ha fatto la prima conferenza nazionale sul lavoro, all’ordine del giorno c’era la rivalutazione del lavoro autonomo. Il lavoro autonomo non va considerato come una patologia del mercato del lavoro e deve essere riconosciuto nella sua specificità. Le segnalo inoltre che, come governo, con il decreto del Fare abbiamo esteso il fondo centrale di garanzia che assiste le banche per il credito alle Pmi ai professionisti non ordinistici e quindi a tutto il lavoro autonomo non tradizionale e di seconda generazione. È un’innovazione culturalmente e politicamente rilevante. Per la prima volta uno strumento di politica economica ha riconosciuta la soggettività specifica di questi lavoratori. Complessivamente il fondo ha un dotazione di 2 miliardi.

D’accordo, ma come affrontare il tema delle tutele sociali per questi soggetti e per l’intero lavoro indipendente in Italia?

Mancano le tutele in caso di malattia o contro gli infortuni, mentre la maternità viene riconosciuta. Manca invece la tutela per il reddito. È una mancanza grave che impedisce il riconoscimento di una cittadinanza sociale piena.

Le associazioni chiedono di bloccare subito l’aumento dell’aliquota che interessa 200 mila persone e poi di riformare la norma della legge Fornero. Come procederete?

Intanto bisogna evitare l’aumento. Il ministero del lavoro dovrebbe riconsiderare il trattamento previdenziale e l’assicurazione sociale delle partite Iva iscritte alla gestione separata Inps e arrivare ad una loro piena inclusione nel sistema del Welfare. Così si potrà cambiare la legge Fornero e fare in modo di rispondere alle esigenze di queste categorie di lavoratrici e lavoratori in maniera appropriata.

Giuliano Cazzola e altri esponenti di Scelta Civica hanno espresso il loro consenso su un’iniziativa parlamentare. C’è dunque una maggioranza per cambiare la legge Fornero?

Spero proprio di si. Ritengo vi sia un errore e mi pare che esista un consenso che permetterà di arrivare ad una correzione.

Dove reperire le risorse? Sarebbero necessari tra i 28 e i 29 milioni di euro per il 2014.

Ritengo che vi siano le possibilità di trovarle. Penso che un intervento più ampio sulle cosiddette pensioni d’oro permetterà di fare l’operazione di correzione all’insegna dell’equità. Ci sono le condizioni per raggiungere l’obiettivo.