Stefano Fassina, Civati ha lasciato il Pd. Lei è il prossimo della lista dei fuoriusciti dal partito?

Capisco la scelta di Pippo. Il Pd di Renzi si è riposizionato sul terreno della cultura politica, dell’agenda del programma e degli interessi che rappresenta. Con il jobs act attua la piattaforma liberista sul lavoro. Poi con la ferita plebiscitaria alla democrazia dell’Italicum e della revisione del senato. E da ultimo un intervento sulla scuola che centralizza il potere sui presidi, marginalizza gli insegnanti, sbatte fuori dall’insegnamento decine di migliaia di precari qualificati.

Sta dicendo che anche lei esce dal suo partito?

No, non sto dicendo questo. Anche perché lasciare un partito non è una scelta soltanto individuale. Voglio fare scelte condivise e coordinate con chi in questi mesi ha portato avanti proposte diverse dal governo Renzi. E comunque in queste ore sono completamente concentrato sulle correzioni profonde da fare al ddl scuola. Ora questa è la mia priorità.

Però non esclude di uscire dal Pd?

Quello che è avvenuto lascia il segno, ormai non mi sento di escludere niente.

Con chi vuole coordinarsi? Con i suoi colleghi che non hanno votato l’Italicum?

Voglio discutere con chi continua ad avere in testa un programma diverso da quello di questo governo. E alternativo.

Sulla scuola però Renzi ha fiutato il pericolo di rompere con un pezzo del vostro elettorato. Ora infatti sta dialogando con le parti sociali. O no?

La modalità di dialogo prevista è surreale. Non è il governo che incontra i protagonisti della scuola, ma i vertici del partito democratico. Siamo in perfetto stile socialismo reale. E la sequela degli appuntamenti (di oggi, ndr) sembra più un omaggio tardivo e formale a un rito che una disponibilità seria all’ascolto.

Considera l’addio di Civati una sconfitta finale per la minoranza Pd?

È di certo un segnale dell’allontanamento del Pd di Renzi dalla funzione che svolge una forza progressista, innovativa e moderna. È evidente che il Pd di Renzi rappresenta sempre di più gli interessi dei più forti ed è sempre più lontano dagli interessi del lavoro in tutte le sue forme, di quelli di chi è in difficoltà, di chi cerca opportunità ed è schiacciato da diseguaglianze e posizioni di rendita. È certamente una sconfitta di chi ha creduto in quel Pd.

Sel mette a disposizione i propri gruppi parlamentari. In pratica vi offre gruppi comuni alla camera e al senato. Le interessa?

Sel da tempo ha indicato la sua disponibilità a rimettersi in discussione per costruire insieme ad altri un soggetto della sinistra.

Nel Pd l’accelerazione della diaspora di queste ore è dovuta anche al fatto che negli ultimi giorni si è consumato un chiarimento fra le minoranze, e in molti hanno votato sì all’Italicum e di fatto si sono schierate con Renzi?

Ma certo. Ormai si è reso evidente che le cosiddette posizioni responsabili e dialoganti con Renzi non hanno alcuno spazio e alcun ruolo.

Eppure il capogruppo Roberto Speranza si è dimesso e si è dichiarato pronto a dare battaglia contro Renzi.

Roberto ha fatto una scelta di grande rilievo morale e politico. Purtroppo la risposta del presidente del consiglio è stata immediata: ha sostituito dieci componenti della commissione affari costituzionali perché non erano allineati, e poi ha anche messo la fiducia sulla legge elettorale. Ha tirato dritto.

La segretaria Cgil Susanna Camusso da tempo auspica la nascita di una nuova forza a sinistra. Ci state pensando?

I segnali del sindacato sono l’indicatore di quello che alcuni di noi sostengono da tempo: il Pd non rappresenta una parte rilevante dell’universo del lavoro, non rappresenta le domande sociali che più avrebbero bisogno di rappresentanza politica da parte della sinistra. E che invece non sono più raccolte dal Pd. Con il jobs act il Pd ha capovolto l’ordine degli interessi che doveva rappresentare. E che ha cercato di rappresentare fin lì.

Dalla Fiom è nata la proposta di Maurizio Landini, quella di una coalizione sociale.

Il progetto di Landini è, continuo a crederlo, il tentativo di una raccolta, di una ricomposizione di domande sociali isolate e frammentate. Per arrivare ad avere la massa critica necessaria a incidere, a determinare una risposta da parte della politica.

In queste ore nel Pd circola l’hashtag #Civati ripensaci. Cosa potrebbe fare Renzi per fermare questa diaspora?

Renzi non mi pare particolarmente interessato al problema, altrimenti avrebbe ascoltato non Civati ma almeno il capogruppo alla camera del suo partito che si è dimesso sull’Italicum. Oppure avrebbe ascoltato le posizioni responsabili fino all’autolesionismo che abbiamo tenuto a lungo sulle riforme.

Su Renzi ha perso la speranza?

Un segnale apprezzabile sarebbe lo stralcio della parte delle assunzioni degli insegnati dal ddl scuola. Per farle con un decreto, che in questo caso avrebbe anche i requisiti di necessità e urgenza. E quindi consentire al parlamento di arrivare a una riforma largamente condivisa.

Il presidente Mattarella ha appena firmato l’Italicum. Nelle opposizioni anche questa volta in molti ora pensano a un referendum, dopo averne già annunciato uno dopo il jobs act e uno eventuale dopo l’approvazione delle riforme costituzionali. Un referendum, o persino più di uno, non sono passi azzardati?

Credo che dovremo considerare tutti gli strumenti per provare a correggere una legge elettorale sbagliata.

Lei dice che il Pd politicamente ormai si è ricollocato. E invece alla sua sinistra cosa manca ancora per far nascere una nuova forza politica?
Manca un’analisi condivisa. E soprattutto un’iniziativa in grado non solo e non tanto di unire, ma di sollecitare le tante energie che oggi sono fuori dalla politica intesa in senso stretto. Penso a quanto si muove nell’universo cattolico, oggi di nuovo molto sollecitato dalle parole di papa Francesco.