A dispetto del titolo, la lettura del primo (e finora unico) libro di Daniel Orozco, Orientamento (traduzione di Emanuele Giammarco, Racconti edizioni, pp. 185, € 16,00) induce una sensazione di spaesamento, un sottile turbamento legato anzitutto alle qualità formali della scrittura. Orozco (nato in California da immigrati del Nicaragua nel 1957) si esprime infatti con una particolare marca di realismo che, nell’esibizione di uno studiato distacco nei confronti dei fatti narrati, è capace di ispirare uno straniamento composto di farsa e di inquietudine in egual misura.

Quasi tutti i nove, brevi racconti contenuti nella raccolta si focalizzano sul disagio del mondo contemporaneo, enfatizzando in particolare il grigiore burocratizzato della quotidianità e le sue dinamiche alienanti. Grazie a questo punto di osservazione prediletto, lo scrittore americano-nicaraguense sembra rifarsi esplicitamente all’eredità kafkiana; e lo fa in modo tutto sommato divertito, esibendo una predilezione per la commedia grottesca che si traduce in un dis-orientamento cosciente di situazioni altrimenti tanto ordinarie da apparire addirittura triviali. Pur stemperando di sovente l’angoscia che pervade l’opera kafkiana in un’ironia certo più digeribile, Orozco ne conserva però intatti alcuni dei meccanismi di fondo: le sue storie si muovono prevalentemente all’interno dei confini della consuetudine, ma sono in grado di oltrepassarli in ogni momento (e in maniera quasi impercettibile) per introdurvi minuzie in grado di dimostrare come la patina della routine non sia che un velo sottilissimo disteso su di abissi ben poco rassicuranti.

Il racconto omonimo in apertura di raccolta è già un esempio eccellente dello stile dell’autore, espressione dell’equilibrio instabile di familiare e di sinistro. Un narratore anonimo fornisce una serie di tediose istruzioni a un impiegato che si appresta a prendere servizio, ma la lista altrimenti irrilevante lascia trapelare saltuariamente degli indizi inquietanti, che si fanno sempre più fitti e inverosimili man mano che la storia procede. C’è un senso pervasivo di minaccia, la consapevolezza crescente che basti un’inezia per scivolare fuori dal quotidiano e proiettarsi dentro un mondo surreale di follia e violenza a malapena celato dall’ottuso automatismo della vita di ogni giorno.

Uno degli impiegati è un feroce assassino seriale, ma assolutamente innocuo sul posto di lavoro; il fantasma di una donna morta improvvisamente lascia dei messaggi nella segreteria della reception; una collega è capace di prevedere la morte di coloro che le si avvicinano troppo. Ma, in maniera forse ancora più perturbante, il pericolo viene normalizzato, ridotto a un semplice divieto in un manuale di istruzioni da seguire alla regola affinché la giornata lavorativa prosegua senza intoppi, assicurando la continuità della produzione.

«Orientamento» è in un certo senso il manifesto dell’intera raccolta, tutta dedicata a una rappresentazione impassibile dell’America contemporanea (e non solo) che mira a evidenziarne gli equilibri esistenziali precari e le assurde pretensioni di normalità attraverso storie di volta in volta ridicole, nauseanti o commoventi.

Il variegato campionario umano dell’autore include individui dall’appetito insaziabile che nascondono o esibiscono la propria incontrollabile dipendenza dal cibo, lavoratrici interinali rese nevrotiche dal confronto continuo con la disperazione propria e altrui, e imbianchini del Golden Gate Bridge rassegnati a dover lavorare mentre centinaia di suicidi compiono l’ultimo salto nella baia.

Lo sguardo di Orozco, ora compassionevole e ora impietoso ma sempre chirurgico, si traduce in racconti rapidi e asciutti, capaci però di illuminare con forza le sbavature della quotidianità e il disagio persistente che lo caratterizza, così come la banalità e la facilità sconcertanti con le quali la morte fa la sua comparsa in un mondo che vorrebbe bandirne l’esistenza, soffocandola sotto la circolarità rassicurante, per quanto fragile e insopportabile, di gesti sempre uguali.