Un «ingranaggio infernale», una «catena di eventi» che si sarebbe dovuto interrompere prima, ma che oggi appare «senza fine». Questa la dura analisi del sociologo franco-iraniano Farhad Khosrokhavar di fronte alla tragedia di Nizza. Direttore di studi all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, già collaboratore di Alain Touraine, Khosrokhavar, è uno dei massimi esperti dello jihadismo europeo, tema a cui ha dedicato decine di opere, tra cui Radicalisation (2014) Le Jihadisme des femmes (2017), Le Nouveau Jihad en Occident (2018).

Come valuta quanto sta accadendo?
Quello di Nizza è il terzo attentato che è stato perpetrato in Francia nello spazio di venti giorni. E un altro si è già aggiunto in Arabia Saudita contro il consolato francese. La situazione si fa ogni giorno più pericolosa ed è difficile immaginare una via d’uscita.

I responsabili di questi attacchi non si possono fermare?
È molto difficile perché non si tratta di figure già note per la loro «radicalizzazione», o che rientrano nella famose «Fiche S» che schedano i sospetti jihadisti. In gran parte non agiscono all’interno di gruppi, ma da soli, spesso del tutto isolati o con labili contatti con gli ambienti estremisti. Inoltre utilizzano armi da taglio, coltelli che si possono acquistare ovunque. Come è evidente si tratta di profili che risultano invisibili ai radar degli inquirenti come dell’antiterrorismo.

Ma perché così tanti giovani sono pronti ad uccidere e a morire in questo modo?
Perché sono davvero convinti che ci sia in gioco qualcosa di decisivo, che si tratti di salvare l’Islam e il Profeta. Una convinzione che poi si accompagna spesso anche alle loro condizioni emotive, psicologiche.

Da questo punto di vista, le misure annunciate da Macron potrebbero sortire qualche effetto?
Ho l’impressione che nessuna legge repressiva o l’inasprimento di quelle già vigenti possa fermare quanto sta accadendo. I responsabili di questi attacchi sono pronti o addirittura desiderano morire. Per quanto detto, è difficile se non impossibile intercettarli prima che passino all’atto. E quando lo fanno è con ogni evidenza troppo tardi.

All’origine di questa escalation di violenza ci sono l’apertura del processo per l’attentato a Charlie Hebdo del 2015 e la decisione del settimanale di ripubblicare le famose vignette di Maometto.
Già, una decisione, quest’ultima, che credo sia stata presa a cuor leggero. Si tratta di un gesto che poteva essere letto come una provocazione da una parte del mondo. Non solo, in società che come quella francese, inglese e tedesca sono sempre più eterogenee, e in cui vivono milioni di musulmani, significa provocare una vasta eco di indignazione nella stessa realtà in cui si opera. Che poi quest’indignazione sia sbagliata o venga manipolata – dagli jihadisti come da Erdogan, è un altro discorso. Ciò che dico è che prima di fare una scelta del genere si dovrebbe avere un po’ di buonsenso, pensare alle possibili conseguenze e ai danni che potrebbe provocare. Ma temo che proprio il buonsenso sia la cosa meno diffusa al mondo.

Ma in gioco non c’è la difesa della libertà, in particolare di quella d’opinione?
Anch’io tengo molto alla libertà, ma interrogarsi sulle conseguenze di una determinata scelta non significa rinunciarci. La blasfemia, attraverso le caricature, è una forma estrema di libertà. E le morti violente a cui stiamo assistendo non credo servano a difendere la nostra libertà. Sono qualcosa di terribile e se mi passate il termine, di «inutile». Il che è assurdo. Inoltre a tutto questo si vorrebbe rispondere con delle leggi sempre più restrittive che hanno come esito di limitare la libertà di tutti. Un circolo infernale e senza fine. La libertà è qualcosa di prezioso ma davvero merita il sacrificio di tutte queste vite innocenti?